La Cassazione, nella sentenza n. 14782 del 2022, è stata chiamata ad intervenire sulla questione dell’utilizzo, a fini ricreativi, di dispositivi elettronici da parte dei detenuti al 41-bis. Nel caso di specie il ricorrente aveva richiesto la fornitura di un cdrom per il tramite del quale potesse ascoltare, durante la giornata, musica di suo gradimento, non necessariamente limitandosi a quella in programmazione sui mezzi disponibili (radio o tv).
Accoglieva detta richiesta il tribunale di sorveglianza di Roma, in riforma del precedente rigetto del giudice di prime cure. Affermava quest’ultimo, invero, che la stessa fosse del tutto compatibile con la ratio del regime speciale di detenzione (ovverosia quella unica di contenere la persistente pericolosità di singoli detenuti (1)) e che anzi costituisse uno di quei piccoli gesti di normalità quotidiana (2), che sono gli ultimi in cui può concretizzarsi la libertà compressa della persona detenuta. Anzi, si ribadiva, nessuna esigenza di sicurezza sarebbe stata violata, dal momento che l’acquisto del materiale sarebbe stato compiuto con le cautele (sigillo e presenza del contrassegno Siae) finalizzate a scongiurare la presenza di contenuti impropri.
Tale ordine di motivazioni non era ritenuto satisfattivo dal ministero della giustizia, il quale si trovava dunque a ricorrere per Cassazione, adducendo due ordini di ragioni: in primis si lamentava la violazione dei presupposti normativi (artt. 35-bis, 41-bis, 69 o.p.) legittimanti l’intervento giudiziale, non ravvisandosi nel caso di specie, ad opera dell’amministrazione penitenziaria, alcuna violazione di legge che si concretizzasse in un grave pregiudizio dei diritti del reclamante; conseguentemente si lamentava, in sede successiva, l’usurpazione da parte dell’autorità giurisdizionale dei poteri lasciati dalla legge alla discrezionalità dell’amministrazione.
Rebus sic stantibus la Suprema Corte ha ritenuto parzialmente fondato il ricorso, sottolineando in particolare come risultasse difettosa la istruttoria compiuta dal tribunale di sorveglianza. Se è pur vero, da un lato, che la giurisprudenza di legittimità stratificatasi in materia non consente di ritenersi sussistente una preclusione assoluta sulla fruizione dei detti dispositivi, al tempo stesso l’ordinanza impugnata difetta, nell’istruttoria, di qualsivoglia considerazione in ordine all’impatto che una decisione favorevole sull’acquisto dei dispositivi potrebbe avere nei riguardi dei singoli istituti. Nessuna considerazione viene fatta, in altri termini, sulla sostenibilità di tale decisione alla luce delle risorse disponibili. Sottolinea la Corte infatti come le cautele necessarie a che l’utilizzo dei cdrom non si trasformi in una minaccia alle esigenze di sicurezza sono ingenti.
Ecco che allora il rifiuto di renderli utilizzabili, implicando un apprezzamento della possibilità di soddisfare le esigenze ricreative dei detenuti alla luce delle risorse disponibili, rientrerebbe in un ambito di legittimo esercizio del potere di organizzazione della vita degli istituti penitenziari.
Preso atto della statuizione della Suprema Corte, bisogna riconoscere sì la bontà della ratio decidendi (sarebbe impensabile, invero, garantire qualsivoglia necessità dei detenuti in assenza di tale valutazione di sintesi), ma al tempo stesso rimane da chiedersi: quale impatto avrà una simile impostazione sulla vita dei detenuti al 41-bis una volta generalizzata? Che un diritto, per esser riconosciuto come esercitabile, debba soggiacere ad un controllo di sostenibilità finanziaria? Se infatti la si afferma nella sua forma pura, ovverosia in assenza di correttivi, tale linea decisoria rischia di porsi in conflitto diretto con la predetta statuizione della Consulta (la n. 18/2022), sostanziandosi nella richiesta di una valutazione aggiuntiva ed estranea rispetto a quella richiesta dalla ratio legis (quella cioè di prevenire la permanenza, anche dall’interno del carcere, di collegamenti tra il carcerato e l’organizzazione criminale di provenienza).
Appare quindi auspicabile un intervento che meglio delinei la fisionomia della stessa, magari prevenendo l’esito del procedimento appena individuato, ovverosia quello della negazione della richiesta. Sarebbe opportuno, per esempio, imporre un criterio del minimo mezzo come guida dei comportamenti della amministrazione, alle prese con le richieste dei detenuti. Che si risparmi pure il più possibile, magari anche contravvenendo in parte i desiderata degli internati, senza però giungere fino alla negazione tout court della richiesta. Nel caso specifico dei cdrom se ne acquistino magari un numero ristretto, imponendone l’utilizzo turnuario (e sempre e comunque sotto il controllo delle guardie penitenziarie).
Quel che si vuole affermare, in conclusione, è che ben venga essere rispettosi dell’onnipresente spending review, ma controlimite a questo sia la garanzia ineludibile dei diritti dei detenuti, da ritenersi sussistenti, con approccio liberale, ogniqualvolta si entri nell’area del ‘non proibito’.
Del resto il desiderio di ascoltare musica non è irrilevante. Si pensi alla branca della psicologia nota come musicoterapia, la quale viene definita come una disciplina paramedica che usa il suono, la musica e il movimento per produrre effetti regressivi e per aprire canali di comunicazione che ci mettano in grado di iniziare il processo di preparazione e di recupero del paziente per la società. (3) Si inserisce pertanto a pieno titolo nel percorso rieducativo del detenuto (cui –come noto- la pena ex art. 27 della Costituzione deve tendere), con risultati spesso positivi, come dimostrano esperienze quali quelle realizzate, ad esempio, all’Istituto Penale per i Minorenni di Acireale, dove un progetto ad hoc attraverso la musica, il farla insieme, ha favorito l’integrazione e la comunicazione all’interno del gruppo dei ragazzi coinvolti, portandoli a un clima di collaborazione e ascolto reciproco. Un’esperienza espressiva musicale, che è diventata occasione di crescita personale creando legami in un luogo dove nessuno ha radici. (4)
In definitiva quella che potrebbe essere tacciata, a prima vista, come una mera velleità dei detenuti al carcere ‘duro’, nasconde in se’ ragioni psicologiche pregnanti, che ci si auspica il Tribunale in sede di rinvio possa esaminare nel corso dell’istruttoria richiesta.
A cura di Michelangelo Taglioli (Università di Pisa)
Riferimenti bibliografici
- 1. Corte Costituzionale, sent. 18/2022
- 2. Corte Costituzionale, sent. 186/2018
- 3. Benenzon, La nuova musicoterapia, 1998, p. 13
- 4. Per approfondimenti sul punto si veda A. A. Calandra, Laboratorio di musicoterapia in carcere, in Formazione Psichiatrica n. 2, 2018