1.La decisione rappresenta l’ultimo atto di un lungo iter giurisprudenziale, iniziato nel novembre del 2020, quando il magistrato di sorveglianza di Sassari aveva dichiarato l’inammissibilità della richiesta di permesso premio. Avverso il decreto era stato proposto reclamo davanti al Tribunale di sorveglianza di Sassari, che lo aveva rigettato, sostenendo che la condizione del detenuto, da anni sottoposto al regime differenziato di cui all’art. 41-bis o.p., doveva ritenersi «del tutto incompatibile, per la sua specifica disciplina, col sollecitato beneficio premiale». Avanzato ricorso contro la decisione del tribunale, la prima sezione della Corte di cassazione (sentenza n. 42723 dell’ottobre 2021), ne aveva ritenuta la fondatezza e aveva di conseguenza annullato l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di sorveglianza di Sassari per un nuovo giudizio, al fine di stabilire se ricorresse nel concreto «una incompatibilità tra il regime differenziato e l’eventuale concessione dei permessi premio», a fronte del pericolo di ristabilimento dei collegamenti con la criminalità organizzata. A parere della Cassazione, infatti, il provvedimento impugnato, individuando nella sottoposizione al regime del 41-bis una causa di inammissibilità della richiesta di permesso premio, appariva in contrasto con una consolidata giurisprudenza di legittimità in virtù della quale deve ritenersi <<illegittimo il provvedimento del tribunale di sorveglianza che consideri il regime detentivo speciale incompatibile con la concessione di un permesso premio>>, senza operare una valutazione caso per caso (v. Cass., sez. I, sentenza n. 21946/2020 e, tempi ancor più recenti, Id., sez. I, sentenza n. 33130/2022). La Corte aveva modo di osservare, infatti, come, <<da un punto di vista sostanziale, potrebbe esservi inconciliabilità tra un istituto, quale il permesso premio, che è specificamente finalizzato a promuovere i rapporti affettivi e sociali nella forma più piena, attraverso l’autorizzazione al beneficiario a rientrare temporaneamente nel proprio contesto socio-familiare>>, e <<un regime penitenziario quale quello contemplato dall’art. 41-bis o.p., che appare, invece, finalizzato a impedire forme di indebito collegamento con l’esterno e, con esso, il perpetuarsi dei legami e delle reciproche influenze con il contesto criminale di provenienza>>. Tuttavia, <<siffatta incompatibilità non è espressamente enunciata dalla normativa penitenziaria; inoltre, sia pure per i soli permessi premio, il meccanismo presuntivo delineato dall’art. 4-bis Ord. pen. in conseguenza della sentenza n. 253 del 2019 della Corte costituzionale è venuto meno>>. In particolare, a parere dei giudici di legittimità, <<la astratta compatibilità tra i due istituti deriva, soprattutto, dalla particolare disciplina della revoca del regime differenziato>>.
2. Investito nuovamente della vicenda, a seguito dell’annullamento con rinvio, il Tribunale di sorveglianza di Sassari, confermava, dunque, la prima decisione di rigetto dell’istanza. Assoggettata nuovamente al vaglio della cassazione, la nuova statuizione ha, questa volta, superato lo scrutinio di legittimità. Per gli ermellini, infatti, la declaratoria di inammisibilità della domanda che era volta all’accertamento della collaborazione impossibile o inesigibile, è del tutto legittima, considerando che – come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità – “grava sul condannato l’onere di delineare nell’istanza elementi specifici circa l’irrilevanza o l’impossibilità della collaborazione”. Quanto, poi, al profilo che maggiormente interessa in questa sede e oggetto dell’ulteriore motivo di rinvio, cioè <<se sussistesse in concreto una incompatibilità tra il regime differenziato cui lo Zagaria è attualmente sottoposto e la eventuale ammissione al permesso premio, potendo essere venuti meno i presupposti per la sua sottoposizione a siffatto regime>>, l’ordinanza impugnata appare – a giudizio dei giudici di legittimità – come immune da censure e rispondente alle indicazioni contenute nella prima sentenza, con cui era stato disposto l’annullamento con rinvio. I giudici di merito non si sono limitati, infatti, a una mera riproduzione nell’ordinanza impugnata del contenuto del decreto del Ministro di proroga del regime differenziato, bensì hanno proceduto a verificare in concreto la (in)sussistenza delle condizioni relative ai condannati per reati cd. “ostativi di prima fascia” ai fini della concessione dei permessi premio. Diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, insomma, le fonti di cui si è avvalso il giudice di merito non possono essere apprezzate – a parere della Cassazione – alla stregua di <<stereotipate informative poste a fondamento del decreto di proroga del regime differenziato>>, trattandosi, piuttosto, di <<informative recentissime analizzate negli elementi di fatto in essi contenute dal Tribunale di sorveglianza per giungere alla conclusione che Zagaria riveste attualmente un ruolo di vertice nell’ambito di una associazione ancora fortemente attiva>>.
3. Per concludere queste brevi note, non rimane che rilevare come il legislatore, nel suo recente intervento di riforma della disciplina contenuta nell’art. 4-bis o.p. (d.l. 162/2022 conv. l. 199/2022), abbia scelto una soluzione che si pone in evidente contrasto con l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità (confermato nella decisione in esame), secondo cui non è da escludersi la possibilità di situazioni in cui, <<ancorché si sia in presenza di un provvedimento applicativo (o di proroga) del regime di cui all’art. 41-bis, formalmente in vigore>>, sia <<sostanzialmente venuta meno la ragione giustificativa dell’atto, nonostante che detto regime sia, ancora, formalmente applicato>>; da ciò discendendo la necessità di <<addivenire, comunque, a una pronuncia di merito che spieghi le ragioni per le quali il beneficio richiesto non possa essere, in concreto, adottato>>. Riformulando il co. 2° dell’art. 4-bis, il legislatore ha inserito, infatti, un inciso finale del seguente tenore: “I benefici di cui al co. 1° possono essere concessi al detenuto o internato sottoposto a regime speciale di detenzione previsto dall’art. 41-bis solamente dopo che il provvedimento applicativo di tale regime sia stato revocato o non prorogato”. Siamo di fronte, in sostanza, a una nuova figura di pericolosità presunta a carattere assoluto. Una scelta che non sembra del tutto conforme alle prese di posizione assunte dalla Corte costituzionale tanto nella sent. 253/2019 quanto nell’ord. 97/2021, dove, fra l’altro, è stato rilevato come, se <<non è affatto irragionevole presumere che il condannato all’ergastolo per reati di contesto mafioso che non collabora con la giustizia mantenga vivi i legami con l’organizzazione criminale di originaria appartenenza>>, una tensione con i parametri costituzionali di riferimento nella materia de qua si evidenzia, invece, <<laddove sia stabilito che la collaborazione sia l’unica strada a disposizione del condannato per l’accesso alla valutazione da cui dipende la sua restituzione alla libertà>>: anche in tal caso, insomma, <<è necessario che la presunzione diventi relativa e possa essere vinta da prova contraria, valutabile dalla magistratura di sorveglianza>>. D’altra parte, la Corte, in entrambe le occasioni, ha fatto riferimento – seppure in via incidentale – al 41-bis, rilevando come l’applicazione del regime speciale ai singoli detenuti <<presuppone proprio l’attualità dei collegamenti con organizzazioni criminali>> (sent. 253/2019 § 8 del considerato in diritto) e come <<in costanza dell’assoggettamento a tale regime l’accesso ai benefici penitenziari non risult(i) possibile>> (ord. 97/2021 § 8 del considerato in diritto). Si tratterà, dunque, di capire se siamo di fronte a un mero obiter dictum o, al contrario, a una precisa presa di posizione della Corte capace di mettere comunque al riparo la nuova disciplina da una pronuncia di illegittimità costituzionale.
A cura di Mariù Soldani e Luca Bresciani