Le libertà che sono alla base della democrazia possono dissolversi nella lotta contro un’epidemia? Riflessioni a margine della giurisprudenza francese sulla legislazione di contrasto alla pandemia

Clément SCHOULER (magistrato, membro del Syndicat de la Magistrature) e Laurent MUCCHIELLI (sociologo, direttore di ricerca presso il CNRS, Università di Aix-Marseille)*

Nel XXI secolo, la Francia ha vissuto in tre occasioni lo stato di emergenza. Dal novembre 2005 al gennaio 2006 in risposta a un’ondata di rivolte, dal novembre 2015 al novembre 2017 in seguito a un’ondata di attacchi e, dal 2020, per far fronte a un’epidemia virale. Quest’ultimo stato di emergenza, sanitario più che di sicurezza, è tuttavia molto diverso dai precedenti. Nel 2005, lo stato di emergenza è durato solo poche settimane e il coprifuoco è stato limitato a poche aree urbane. Dal 2015 al 2017, lo stato di emergenza “antiterrorismo”, prorogato per sei volte, ha autorizzato perquisizioni e arresti domiciliari senza l’intervento di un giudice, ma non ha mai riguardato la popolazione generale. Con lo stato di emergenza sanitaria, istituito con la legge del 23 marzo 2020 e poi rinnovato a più riprese con nomi diversi, l’intera popolazione è stata posta agli “arresti domiciliari”: privata della libertà di andare e venire, della libertà di riunione, di culto, di manifestazione, del diritto di intrattenere liberamente relazioni, e interi settori dell’attività economica e sociale sono stati bloccati. Dal punto di vista giuridico, questa sospensione delle libertà è stata caratterizzata anche da una produzione legislativa sfrenata che minaccia la certezza del diritto e l’intelligibilità delle norme, nonché da un calo del controllo giudiziario.

Una produzione normativa tanto sfrenata quanto incomprensibile

Il decreto del 29 ottobre 2020 che prescrive le misure generali necessarie per affrontare l’epidemia nell’ambito dello stato di emergenza sanitaria ha subito 38 modifiche fino al 2 aprile 2021, ovvero una ogni quattro giorni in media. Allo stesso modo, è particolarmente significativa la lettura dell’articolo 1 del decreto del 19 marzo 2021 (che modifica il precedente). Si tratta di una previsione che si compone di oltre 1.000 parole e 5.000 caratteri, con cui si provvede a sostituire, cancellare e modificare numerose disposizioni precedenti. Il che lo rende di per sé incomprensibile, anche se ha conseguenze dirette sulla vita quotidiana e sui diritti fondamentali di tutti, dal momento che istituisce un coprifuoco fra i più restrittivi in Europa. Un altro esempio: la definizione normativa della mascherina (il cui uso è stato reso obbligatorio) è talmente complessa da non poter essere compresa da tutti. L’allegato I, III del decreto del 29 ottobre 2020 definisce quattro categorie di maschere regolamentari, comprese quelle riservate ad usi non sanitari, che devono rispondere a quattro caratteristiche, una delle quali è a sua volta definita mediante ulteriori prescrizioni che richiedono ben tre requisiti: un’efficienza di filtro verso l’esterno superiore al 90% delle particelle emesse di 3 micrometri, una traspirabilità che consenta di indossare per quattro ore e una permeabilità all’aria superiore a 96 litri per metro quadro al secondo, per una pressione di 100 pascal…

Oggetti normativi non identificati

Oltre a questa profusione di norme tanto oscure quanto instabili, abbiamo assistito allo sviluppo di nuovi oggetti normativi che potremmo definire paranormali, in quanto non soddisfano la definizione formale di norma giuridica pur producendo effetti concreti.

È nata così una profusione di protocolli sanitari, soprattutto in amministrazioni come quella dell’educazione nazionale. Questi protocolli hanno assunto la forma di documenti non firmati messi a disposizione del personale e degli utenti. Pur non avendo né la forma né l’aspetto di testi normativi, essi stabiliscono comunque precisi standard di comportamento e aggiungono ulteriori obblighi (1). Emblematiche di questa deriva sono anche le autocertificazioni che consentono alle persone di muoversi durante i confinamenti: nessun testo normativo le ha rese obbligatorie. Tuttavia, il 30 marzo 2021, il sito web del Ministero dell’Interno ha annunciato che era “obbligatorio essere in possesso del certificato di viaggio in deroga per viaggiare in queste ore”.

La validità di questi standard è discutibile: non è possibile richiedere un modulo specifico per il viaggio se nessun testo normativo preso in applicazione di una legge lo richiede. C’è anche il problema dell’anonimato delle autorità che emettono questi testi non firmati. Un’autorità amministrativa può emanare un testo normativo solo se ha la competenza legale per farlo, e tale autorità deve essere esercitata da un funzionario pubblico, da un funzionario eletto o da un membro di un organo costituzionale nominato in condizioni regolari e la cui responsabilità personale (o la legalità del potere o della delega di firma) può essere messa in discussione davanti a un tribunale. Per questi motivi, non può rimanere anonimo.

Tuttavia, il Consiglio di Stato ha convalidato queste pratiche discutibili in una decisione del 22 dicembre 2020 (2). Infine, ma non meno importante, c’è il problema della legalità di questo tipo di pratica per quanto riguarda la violazione delle libertà fondamentali che essa comporta.

Mancanza di controllo giudiziario

In tali circostanze, il controllo della costituzionalità e della legalità di leggi e regolamenti è essenziale per verificare, in particolare, la proporzionalità delle misure adottate rispetto agli obiettivi di salute pubblica (3). Alla prova dei fatti, però, possiamo solo constatare il sostanziale fallimento di questo controllo.

Non appena è iniziata l’epidemia, il Conseil constitutionnel ha rinunciato, invero, a una delle sue prerogative, che sarebbe essenziale, invece, esercitare in un periodo di sospensione e restrizione delle libertà: quella di controllare la costituzionalità della legge attraverso la “questione prioritaria di costituzionalità”. Nella sua decisione del 26 marzo 2020, ha ritenuto, infatti, che, “date le circostanze particolari”, non vi fosse “alcun motivo per giudicare” se questa legge organica fosse stata adottata in violazione delle norme previste dalla Costituzione che ne regolano la procedura, anche se questo era il caso, come ammesso dallo stesso Governo. In effetti, il progetto di legge organica era stato presentato al Senato il 18 marzo 2020 ed esaminato in seduta pubblica il giorno successivo, anche se l’articolo 46 della Costituzione stabilisce che il progetto o la proposta di legge organica non possono essere sottoposti alla deliberazione della prima assemblea prima che sia trascorso un periodo di quindici giorni dalla sua presentazione. Lo scopo di questo non-lieu à juger era quello di differire al 30 giugno 2020 il rinvio obbligatorio davanti al Conseil costitutionnel di tutte le questioni prioritarie di costituzionalità (QPC) che sono state deferite alla Corte di Cassazione o al Consiglio di Stato, nel caso in cui questi tribunali non si siano pronunciati entro questo termine. Sebbene la portata di questa decisione possa essere considerata piuttosto circoscritta, la rinuncia al giudizio in cui si sostanzia costituisce un precedente storico di non live conto: ci troviamo davanti, in sostanza, a una vera e propria “chiusura di un occhio” a fronte di un’evidente irregolarità nella procedura di adozione di una legge che si pretende giustificata da circostanze speciali.

Il Conseil costitutionnel ha deciso, altresì, di assumere una posizione di self-restraint circa l’ampiezza del suo sindacato nella materia de qua. Pur avendo da tempo assunto il ruolo di giudice del controllo della proporzione tra la salvaguardia dell’ordine pubblico e la garanzia dei diritti costituzionali, non ha perso l’occasione, infatti, per ricordare (decisione dell’11 maggio 2020 sulla legge di proroga dello stato di emergenza sanitaria) che la Costituzione non esclude la possibilità per il legislatore di prevedere uno stato di emergenza sanitaria e che, d’altra parte, spetta allo stesso legislatore garantire la conciliazione tra l’obiettivo della tutela della salute e il rispetto dei diritti e delle libertà. E, il 13 novembre 2020, ha dichiarato che non spettava al Conseil di mettere in discussione la valutazione operata dal legislatore sull’esistenza di un allarme sanitario e sulla sua prevedibile persistenza nei seguenti quattro mesi. Così, a seguito dell’epidemia, i giudici costituzionali si sono orientati a circoscrivere il loro giudizio sulla legittimità della legge, rinunciando a valutare il profilo relativo alla natura “manifestamente sproporzionata” delle misure limitative di diritti fondamentali o anche al bilanciamento tra i diversi obiettivi di valore costituzionale perseguiti dal Governo, per limitarsi a prendere in considerazione il solo aspetto riguardante la natura “manifestamente inadeguata” di queste stesse misure. Questa “auto-limitazione” ha permesso di evitare di esaminare la questione di fondo, se, cioè, il confino domiciliare di oltre 67 milioni di persone per 55 giorni consecutivi costituisse o meno una privazione della libertà che avrebbe dovuto essere sottoposta a controllo giudiziario ai sensi dell’articolo 66 della Costituzione della Quinta Repubblica o una semplice restrizione della libertà (4).

Infatti, per quanto riguarda il controllo dell’autorità giudiziaria, il Conseil costitutionnel, nella decisione dell’11 maggio 2020 sulla legge dell’11 maggio 2020 che prorogava lo stato di emergenza sanitaria, nel convalidare la quasi totalità degli esorbitanti poteri di diritto comune conferiti al Governo per sospendere le libertà di circolazione, commercio e industria, riunione, culto ecc., si è limitato a formulare una “riserva di interpretazione” molto circoscritta. Ha ritenuto, infatti, che la quarantena, il collocamento e l’isolamento delle persone che entrano nella Francia continentale e che hanno soggiornato in una zona in cui circolava l’infezione durante il mese precedente non possano essere imposti per più di dodici ore al giorno senza l’autorizzazione di un giudice, senza violare i requisiti dell’articolo 66 della Costituzione. Tuttavia, va notato che, tre mesi dopo, in una decisione del 22 luglio 2020, pronunciandosi su una richiesta del professor Paul Cassia e dell’Associazione per la difesa delle libertà costituzionali (con la quale era avanzata la richiesta di annullamento dell’articolo 3 del decreto del 23 marzo 2020 che prescriveva le misure generali necessarie per affrontare l’epidemia di covid-19 nel contesto dello stato di emergenza sanitaria), il Consiglio di Stato ha esaminato la questione se, non prevedendo l’intervento dell’autorità giudiziaria per verificare l’assenza di arbitrarietà nel divieto di lasciare il domicilio di tutta o parte della popolazione, la legge avesse disatteso la competenza dell’autorità giudiziaria derivante dall’articolo 66 della Costituzione. E ha stabilito che questa domanda era irrilevante. Questo fa pensare a una certa incoerenza tra la giurisprudenza del Conseil constitutionnel e quella del Consiglio di Stato, o quantomeno a un’evoluzione giurisprudenziale che non va nella direzione della salvaguardia delle libertà.

Controllo di legalità: necessità, adeguatezza e proporzionalità

In teoria, in uno Stato di diritto, la libertà dovrebbe rimanere la regola e le restrizioni di polizia l’eccezione. Di conseguenza, le misure che violano i diritti e le libertà sono legali solo se soddisfano i tre requisiti inerenti al principio di proporzionalità: necessità, adeguatezza e proporzionalità in senso stretto. Pertanto, una misura restrittiva della libertà deve prima essere necessaria per prevenire un rischio – ad esempio in termini di salute – per l’ordine pubblico. In secondo luogo, la misura deve essere idonea a raggiungere l’obiettivo prefissato, altrimenti non è adeguata. Così, ad esempio, l’obbligo di indossare una mascherina protettiva in luoghi pubblici aperti dovrebbe essere ripensato in questa fase della revisione se si scoprisse che essa non è utile in quei luoghi. Infine, le restrizioni di polizia devono essere strettamente proporzionate al fine che le giustifica; e, proprio per questo motivo, i provvedimenti troppo generici incorrono spesso nella censura del giudice amministrativo.

Non è stato così, tuttavia, né quando il Consiglio di Stato, nella sua decisione dell’8 dicembre 2020, ha convalidato l’obbligo generale di indossare maschere facciali per gli alunni di età superiore ai sei anni, né quando, il 6 settembre 2020, ha parzialmente annullato le ordinanze provvisorie dei tribunali amministrativi di Lione e Strasburgo che avevano ordinato ai prefetti di rivedere le loro ordinanze che imponevano alle persone di età pari o superiore agli undici anni di indossare maschere in luoghi pubblici aperti.

Un ulteriore passo avanti è stato compiuto con l’ordinanza del Consiglio di Stato del 1° aprile 2021, con cui è stato chiesto di stabilire che la vaccinazione contro il Covid-19 rende superflue le restrizioni ai viaggi e che quindi il coprifuoco e il confino non sono più necessari o appropriati per le persone vaccinate. Con questa decisione, il Consiglio di Stato ha riconosciuto, in sostanza, che la circostanza per cui la possibilità di un rischio riguardante un piccolo numero di persone non sia completamente eliminata costituisca una ragione sufficiente per non considerare sproporzionata la violazione della libertà personale di tutti i cittadini derivante dalle misure generali di coprifuoco e confino. In altre parole, in assenza di una certezza assoluta sull’inesistenza di un rischio, anche minimo, il Consiglio di Stato ha scelto di sospendere la libertà di andare e venire per l’intera collettività.

L’emergere di un nuovo sistema di costrizione, di contenimento e di controllo dei corpi

La produzione sfrenata e disordinata di norme e l’inadeguatezza del controllo giudiziario sopra descritte hanno autorizzato e favorito l’instaurarsi di un nuovo sistema di costrizione, vincolo e controllo degli organi.

Confinamento domiciliare

“Contenimento” è una delle parole emblematiche della nuova normalità epidemica. Si trova anche nelle sentenze del Consiglio di Stato, anche se l’unica ricorrenza di questo termine nel diritto positivo si riferisce a una sanzione disciplinare per i detenuti: la “reclusione in una cella individuale” (articoli R. 57-7-5 e seguenti del codice di procedura penale). Si tratta della punizione più severa prima della famosa mise en cellule disciplinaire, più comunemente chiamata mitard. Il parallelo che si può tracciare tra lo status del cittadino privato della libertà di circolazione per motivi di salute e quello del detenuto non deve essere visto come meramente terminologico. Il confino sanitario può infatti essere paragonato alla pena degli arresti domiciliari con sorveglianza elettronica (articolo 131-4-1 C.p.).

Questo regime giuridico è simile a quello stabilito dal decreto del 29 ottobre 2020, che autorizza, in via eccezionale, gli spostamenti al di fuori del luogo di residenza per l’esercizio o la ricerca di un’attività professionale, per visitare istituti di istruzione, per acquistare le forniture necessarie all’attività professionale e beni di prima necessità, per effettuare cure sanitarie che non possono essere prestate a distanza nonché per procurarsi medicinali, per viaggi motivati da ragioni familiari inderogabili, per assistere persone vulnerabili o in condizioni precarie, per la cura dei bambini, nonché per traslochi e per rispondere a una iniziativa giudiziaria o amministrativa.

La coercizione come principio

La sospensione del principio della libertà di movimento è stata estesa a tutte le attività considerate dall’esecutivo “non essenziali”. In settori importanti come la libertà di commercio e di industria e la libertà di circolazione, il meccanismo giuridico consisteva nello stabilire la costrizione come principio, in modo da consentire l’esercizio della libertà solo in via eccezionale: tutto ciò che non è autorizzato dall’autorità amministrativa è vietato in linea di principio in uno stato di emergenza sanitaria (5).

Le autorità amministrative avrebbero potuto decidere di vietare alcune attività in via eccezionale e non il contrario. L’articolo 4 del decreto del 29 ottobre 2020 abolisce quindi esplicitamente la libertà di andare e venire, stabilendo che “è vietato qualsiasi spostamento di una persona al di fuori del suo luogo di residenza, ad eccezione degli spostamenti per i seguenti motivi”. Si sarebbe potuto immaginare un testo formulato come segue: “In via eccezionale, è vietato viaggiare per i seguenti motivi”. Una tale formulazione avrebbe avuto il vantaggio di permettere di comprendere l’intenzione degli autori del testo e di sapere con precisione quali movimenti, a loro avviso, meritavano di essere sospesi nell’interesse della salute pubblica, per sottoporre il loro divieto all’apprezzamento di ciascuno, ma soprattutto al controllo di legalità che il giudice è portato a svolgere in concreto nei casi che gli vengono sottoposti.

Contenimento e controllo dei corpi: l’uso delle mascherine

Non c’è nulla di eccezionale nel fatto che lo Stato prenda possesso dei corpi. Si manifesta quotidianamente con arresti, custodia di polizia, detenzione preventiva, esecuzione di pene detentive, detenzione amministrativa e ospedalizzazione forzata.

Con l’obbligo di indossare una mascherina, tuttavia, le autorità pubbliche si sono concesse un diritto di natura diversa, in quanto non si tratta di una semplice privazione della libertà, ma di un dispositivo posto direttamente sul corpo delle persone allo scopo di contenerne le esalazioni. Da questo punto di vista, la mascherina è simile alla contenzione corporea, che è vietata dal Codice di procedura penale (articolo 803) tranne che per le persone considerate pericolose per gli altri o per se stesse o che potrebbero tentare la fuga. Data la sua natura medica, la mascherina protettiva può anche essere paragonata alle contenzioni utilizzate nelle cure psichiatriche senza consenso (articolo L. 3222-5-1 del Codice di Sanità Pubblica) o più in generale negli istituti residenziali per anziani o nelle strutture di assistenza. Tuttavia, l’eccezionalità dell’obbligo di indossare una mascherina non risiede solo nella sua natura contenziosa, ma anche nel suo carattere generalizzato. Infatti, anche se la costrizione costituita dall’indossare una mascherina può essere considerata leggera, nonostante l’importanza del volto (sede dell’identità di una persona, della sua espressione verbale e non verbale e della sua respirazione), La sua natura inedita risiede nel fatto che potrebbe essere imposta a tutti e in tutti i luoghi (e non in luoghi specifici come quelli densamente popolati e scarsamente ventilati, o a categorie limitate della popolazione come i pazienti contagiosi o i professionisti a causa della natura specifica dei compiti che devono svolgere) in assenza di prove scientifiche e persino al di là di quanto raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (6).

Registrazione dei dati sanitari e privacy

Allo stesso modo, l’epidemia ha permesso l’istituzione di un sistema senza precedenti di raccolta, registrazione e trattamento informatico di dati sanitari personali o di dati relativi alla vita privata. In un contesto europeo di attuazione della tracciabilità individuale (raccomandazione della Commissione europea dell’8 aprile 2020) (7), l’archiviazione nominativa dei dati sanitari è stata autorizzata dal decreto del 12 maggio 2020, che deroga al segreto medico. Questa deroga rischia di minare il rapporto di fiducia tra il paziente e il suo medico. Consentendo l’accesso ai dati senza il consenso dei pazienti e dei contatti, si è creato un rischio reale di rinuncia alle cure, come rilevato dalla Commission nationale consultative des droits de l’homme (CNCDH) (8). La Commission Nationale de l’Informatique et des Libertés (CNIL) ha osservato che la disposizione di tale deroga al principio del segreto medico autorizza l’accesso a questo nuovo archivio da parte di un gran numero di persone che sono ben lontane dall’essere tutti medici, poiché si tratta di dati altamente sensibili che possono riguardare l’intera popolazione (9). Infatti, il nuovo archivio denominato Contact Covid, che la Caisse nationale de l’assurance maladie (CNAM) è autorizzata a implementare, permette di raccogliere e trattare per ogni persona considerata “contatto a rischio di contaminazione” non solo i suoi dati identificativi (cognome, nome, data di nascita, sesso, indirizzo di casa, numero di telefono e indirizzo e-mail), ma anche : i dati che consentono di stabilire che la persona è infetta o è stata infetta negli ultimi 2 mesi, se è stata vaccinata o meno, la professione e il luogo di esercizio, i luoghi in cui la persona è stata negli ultimi 14 giorni, siano essi luoghi di alloggio, di istruzione o di cura, luoghi di lavoro, strutture che accolgono il pubblico, riunioni di qualsiasi tipo, eventi o attività che coinvolgono più di 6 persone.

La natura dei dati nominativi che il CNAM è autorizzato a trattare nell’archivio Contact Covid non è quindi solo quella di dati coperti da segreto medico, ma anche di dati strettamente legati alla vita privata. È quindi come se la situazione epidemica avesse fornito l’opportunità di accelerare l’implementazione di un sistema di sorveglianza generalizzato della popolazione (10).

Vaccinazione forzata con prodotti sperimentali e nuova discriminazione dello stato di salute

Una delle caratteristiche principali della “crisi di Covid” fu la vaccinazione generale della popolazione, impostata fin dall’inizio come unica via d’uscita dall’epidemia. Trascurando le prime cure della medicina locale (senza precedenti), il governo ha riposto tutte le sue speranze di “eradicare il virus” nella nuova tecnologia genetica dei vaccini a RNA messaggero (11). Inizialmente un incentivo per tutta la popolazione, la vaccinazione è stata resa obbligatoria dalla legge del 5 agosto 2021 per tutti i professionisti del settore sanitario e affini, nonché per quelli degli istituti e dei servizi sociali e medico-sociali, per gli studenti o gli allievi degli istituti che si preparano all’esercizio di queste professioni, nonché per i vigili del fuoco e altro personale della sicurezza civile (civile o militare) e per i dipendenti del settore dell’assistenza domiciliare. In totale, più di 4 milioni di persone sono soggette a questo obbligo, il che rappresenta quasi il 15% della popolazione attiva in Francia (12). Se non rispettano questo obbligo, questi milioni di persone possono essere privati dell’autorizzazione a svolgere le loro mansioni e a percepire il relativo reddito, che sia o meno da lavoro dipendente.

Questa legge segna anche una svolta nella storia della lotta alla discriminazione: istituisce un pass sanitario che introduce la discriminazione sulla base dello stato di salute, che è comunque punibile ai sensi dell’articolo 225-1 C.p. derivante dalla legge del 12 luglio 1990 (13). Questa legislazione è stata introdotta nel contesto di un’altra epidemia virale: l’AIDS. Sembra quindi che si sia passati dal desiderio di proteggere i malati da qualsiasi discriminazione all’istituzione di una discriminazione obbligatoria sulla base dello stato di salute.

Successivamente, un obbligo mascherinato sotto forma di pressione esercitata dalle autorità pubbliche sulle persone non vaccinate ha riguardato l’intera popolazione. Questa strategia volta a ridurre i “refrattari” facendo “pressione” su di loro fino a “farli incazzare” (14) è all’origine di una legge di rapidissima adozione: quella del 22 gennaio 2022 che rafforza gli strumenti di gestione della crisi sanitaria e modifica il codice di sanità pubblica. Questa legge istituisce un libretto di vaccinazione e controlli sanitari privati convalidati dal Consiglio costituzionale (15). Il suo scopo è quello di impedire alle persone non vaccinate l’accesso a un gran numero di luoghi ed eventi pubblici (musei, mostre, biblioteche, impianti sportivi comunali, eventi culturali e sportivi, fiere, ecc.) e privati (alberghi, ristoranti, bar, cinema, palazzetti dello sport, centri commerciali, a seconda delle loro dimensioni, ecc.

Per attuare questo obbligo diretto di vaccinazione e questo quasi-obbligo indiretto 16), le autorità hanno accolto la commercializzazione da parte dell’industria farmaceutica di un vaccino che è “efficace al 95%”, senza effetti avversi, e che bloccherà l’epidemia e proteggerà dalle forme gravi di Covid. Sappiamo già che almeno due di queste ultime tre affermazioni sono false. In realtà, in nessuno dei Paesi che hanno vaccinato la quasi totalità della popolazione l’epidemia è scomparsa o si è ridotta in modo significativo, e gli effetti indesiderati, anche gravi, dei vaccini sono molto numerosi (17).

In queste condizioni, nessun cittadino dovrebbe essere obbligato a sottoporsi a una vaccinazione in assenza di un consenso libero e informato (che consiste in particolare nel poter comprendere il rapporto benefici/rischi che riguarda lui o il suo bambino), come ricordato in particolare da diversi testi di diritto internazionale, come il Codice di Norimberga (1947), la Dichiarazione di Helsinki (1964) e la Convenzione sui diritti umani e la biomedicina (nota come Convenzione di Oviedo, 1997) (18).

Conclusione

Il diritto di eccezione introdotto nel 2020 costituisce un precedente per il sistema di conservazione delle libertà, che ne risulta profondamente scosso. D’ora in poi, sarà considerata legittimamente sospendibile per far fronte a qualsiasi situazione considerata di intensità simile a quella causata dall’epidemia del 2020 (19).

L’epidemia ha portato anche a una maggiore “presidenzializzazione” del sistema politico e a una concentrazione del potere nelle mani dell’esecutivo, con i parlamentari che si autocensurano e permettono al governo di legiferare per ordinanza (20). Lo testimoniano anche le regolari riunioni dei Consigli di difesa sotto l’autorità del Presidente della Repubblica. La crisi sanitaria è stata quindi gestita in gran parte all’interno di un organismo creato per regolamento, il cui lavoro, lungi dall’essere oggetto di relazioni come quelle del Consiglio dei Ministri, è coperto da segreto difensivo (21).

Per quanto riguarda il controllo giudiziario degli atti normativi e il controllo di costituzionalità delle leggi, ha mostrato una forte tendenza a convalidare leggi e regolamenti eccezionali che sospendono o limitano le libertà per motivi di salute. Il Consiglio di Stato ha infatti respinto quasi tutte le istanze cautelari presentate contro le misure governative, dimostrando “una certa indulgenza” nei confronti dell’esecutivo (22). Analizzando le sue numerose decisioni durante questo periodo, alcuni giuristi hanno addirittura parlato di una “continuazione della propaganda dell’esecutivo attraverso i tribunali” (23), in un contesto in cui è sempre stata sollevata la questione della formazione dei giudici amministrativi (la maggior parte dei quali proviene dall’Ecole Nationale d’Administration piuttosto che dalle facoltà di giurisprudenza), così come quella del fatto che alcuni membri del Conseil d’Etat hanno ricoperto cariche politiche in alcuni momenti della loro carriera (24). Per quanto riguarda il Consiglio costituzionale, ha certamente censurato a posteriori le proroghe automatiche delle detenzioni preventive istituite dalla legge del 25 marzo 2020 (25). Ma questa decisione è un’eccezione nella sua giurisprudenza sulla legislazione sanitaria eccezionale, che ha convalidato nella sua quasi-totalità, essendo in diverse occasioni infedele alla sua stessa giurisprudenza. A livello procedurale, abbiamo visto che è arrivata persino a sospendere i termini per l’esame dei QPC, suscitando aspre critiche da parte degli esperti legali (26).

In definitiva, questa epidemia potrebbe segnare l’inizio della fine del sistema di protezione delle libertà civili, che è uno degli elementi essenziali di ogni democrazia (27). Considerato l’impatto demografico limitato di questa epidemia (contrariamente a quanto si crede, non c’è un eccesso di mortalità al di sotto dei 65 anni, cioè nell’80% della popolazione [28]), è quindi legittimo porsi la seguente domanda: abbiamo vissuto una catastrofe che mette a rischio la salute della popolazione generale al punto da giustificare la sospensione di quasi tutte le libertà? Oppure, con il pretesto di una nuova epidemia, abbiamo vissuto un disastro istituzionale che minaccia in modo serio e permanente queste libertà e le istituzioni che dovrebbero garantirle?

*Si tratta di un lavoro pubblicato in lingua francese sulla rivista Futuribles (2022, 4, p. 73-85) La redazione esprime i più sentiti ringraziamenti al prof. Mucchielli per la traduzione.

** Per un confronto con l’esperienza italiana, si riportano sinteticamente le più significative prese di posizione della Corte costituzionale riguardo alla disciplina che ha visto la luce durante le fasi acute della pandemia ed è stata originata, per l’appunto, dalla necessità di contenere la diffusione del virus.

Con la sentenza n. 198 del 2021, la Corte ha avuto modo di pronunciarsi su una questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto alcuni profili della disciplina introdotta in via d’urgenza per una più efficace gestione della crisi pandemica. In particolare, la questione era stata sollevata in via incidentale da un giudice che era stato chiamato a decidere sull’opposizione contro una sanzione pecuniaria inflitta a un cittadino per aver disatteso il divieto – imposto da uno dei dpcm “del covid-19” – di uscire dalla propria abitazione senza giustificato motivo. Secondo il giudice rimettente, la sanzione inflitta avrebbe rappresentato il prodotto finale di una catena viziata a monte da una delega sostanziale di funzione legislativa, realizzata ad opera di un decreto-legge in favore di «meri atti amministrativi» del Governo. Questa interconnessione tra decreto-legge e dpcm avrebbe violato, a parere del giudice a quo, il principio di tipicità delle fonti primarie del diritto, «al di fuori dell’unica ipotesi di emergenza costituzionalmente rilevante, quella dello stato di guerra». La questione è stata ritenuta dalla Corte infondata. L’argomentazione a sostegno della decisione si sviluppa essenzialmente attorno a un perno: la tassatività delle misure di contenimento menzionate dal d.l. 19/2020, che, a parere del Giudice delle leggi, tipizzando il contenuto dei provvedimenti attuativi, avrebbe conformato in senso amministrativo la discrezionalità attribuita al Presidente del Consiglio. L’elemento centrale del ragionamento seguito in motivazione è, dunque, la tassatività degli interventi: sulla scorta di essa di essa, la Corte definisce la natura giuridica dei dpcm, escludendo implicitamente la natura normativa del potere attribuito e affermandone esplicitamente la riconducibilità alla categoria del potere d’ordinanzaLa tipizzazione delle misure non esaurisce del tutto, però, l’argomentazione a sostegno della declaratoria di infondatezza della questione. Vanno prese in considerazione, infatti, anche le altre garanzie introdotte dal d.l. 19/2020: un’interlocuzione più frequente e strutturata con il Parlamento, l’introduzione dei requisiti di «adeguatezza e proporzionalità» quali criteri di esercizio della discrezionalità attribuita al Presidente del Consiglio, il coinvolgimento del Comitato tecnico-scientifico e la vigenza per «periodi predeterminati» dei dpcm.

La Corte costituzionale ha avuto modo, poi, di affrontare un’ulteriore questione di legittimità nella materia de qua (sentenza 127/2022), in riferimento all’art. 1 co. 6° d.l. 16 maggio 2020, n. 33 (Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella l. 14 luglio 2020, n. 74, laddove stabilisce che «[è] fatto divieto di mobilità dalla propria abitazione o dimora alle persone sottoposte alla misura della quarantena per provvedimento dell’autorità sanitaria in quanto risultate positive al virus COVID-19, fino all’accertamento della guarigione o al ricovero in una struttura sanitaria o altra struttura allo scopo destinata». Il giudice a quo aveva ritenuto, invero, che il provvedimento di adozione del divieto comportasse una restrizione della libertà personale, anziché della libertà di circolazione (garantita dall’art. 16 Cost.), e che quindi esso avrebbe dovuto essere adottato dall’autorità giudiziaria o, quanto meno, sottoposto a convalida da parte di quest’ultima. Il rimettente dubitava, in altre parole, della legittimità costituzionale del divieto di mobilità e del regime penale che ne accompagna la violazione per lesione della riserva di giurisdizione prevista dall’art. 13 Cost.

Anche in questa occasione, la Corte si è orientata per una declaratoria di infondatezza (per un’attenta analisi dei profili di criticità che suscita questa decisione, v. A. Della Bella, Quarantena obbligatoria, libertà personale e libertà di circolazione. Riflessione a margine di Corte cost. 7 aprile 2022 n. 127, in Riv. it. dir.proc. pen., 2022, pag. 772 ss.). Al fine di definire la questione, i giudici della Consulta hanno ritenuto che si debba, anzitutto, stabilire se le modalità con le quali una simile, gravosa misura siano state adottate non trasmodino, in concreto, in <<restrizione della libertà personale>>. Del resto, una volta che si sia giunti alla conclusione che la limitazione introdotta dal legislatore appartenga, a buon titolo, al campo governato dall’art. 16 Cost., e si sia quindi potuto escludere ogni rilievo all’art. 13 Cost., ugualmente occorrerebbe valutare la conformità della misura adottata ai limiti costituzionali che il legislatore incontra in tema di compressione della libertà di circolazione (……).Tuttavia, tale secondo aspetto del problema non è stato sottoposto all’attenzione della Corte dal giudice rimettente, che ha invece circoscritto il dubbio di costituzionalità alla violazione dell’art. 13 Cost., sicché è solo a quest’ultima che deve riservarsi l’attenzione, restando invece impregiudicato ogni profilo afferente all’osservanza dell’art. 16 Cost.

La Corte muove dal presupposto che il <<nucleo irriducibile dell’habeas corpus, tutelato dall’art. 13 Cost.>> comporta che <<il legislatore non possa assoggettare a coercizione fisica una persona>>, se non in forza di atto motivato dell’autorità giudiziaria o convalidato da quest’ultima entro quarantotto ore, qualora alla coercizione abbia invece provveduto l’autorità di p.s. L’impiego della <<forza per restringere la capacità di disporre del proprio corpo>> è, quindi, precluso dalla lettera stessa dell’art. 13 Cost., se non interviene il giudice, la cui posizione di indipendenza e imparzialità assicura che non siano commessi arbitri in danno delle persone. Pertanto, nei casi in cui il legislatore intervenga sulla libertà di locomozione, <<indice certo per assegnare tale misura all’ambito applicativo dell’art. 13 Cost. (e non dell’art. 16 Cost.)>> è che essa sia non soltanto obbligatoria (tale, vale a dire, da comportare una sanzione per chi vi si sottragga), ma anche tale da richiedere una coercizione fisica.

Ebbene, nel caso di specie, l’obbligo – per chi è sottoposto a quarantena a seguito di un provvedimento dell’autorità sanitaria, in quanto risultato positivo al virus COVID-19 – di non uscire dalla propria abitazione o dimora, a parere della Corte, <<non restringe la libertà personale>>. A questa conclusione deve pervenirsi in primo luogo perché tale obbligo <<non viene direttamente accompagnato da alcuna forma di coercizione fisica>>. Se è vero, infatti, che il destinatario del provvedimento è obbligato ad osservare l’isolamento, a pena di incorrere nella sanzione penale, non vi è costretto, però, ricorrendo ad una coercizione fisica, tanto che la normativa non prevede neppure alcuna forma di sorveglianza in grado di prevenire la violazione. In definitiva, chiunque sia sottoposto alla “quarantena” e si allontani dalla propria dimora incorrerà nella sanzione prevista dalla disposizione censurata, ma <<non gli si potrà impedire fisicamente di lasciare la dimora stessa, né potrà essere arrestato in conseguenza di tale violazione>>.

La Corte, peraltro, non si ferma a questo punto nell’argomentare la propria decisione. Non trascura di ricordare, infatti, come, fin dagli esordi della sua giurisprudenza, essa abbia riconosciuto che l’<<art. 13 Cost. deve trovare spazio non soltanto a fronte di restrizioni mediate dall’impiego della forza fisica, ma anche a quelle che comportino l’ “assoggettamento totale della persona all’altrui potere”, con le quali, vale a dire, viene compromessa la “libertà morale” degli individui>>. Quando vengano in considerazione prescrizioni restrittive degradanti per la persona, queste, ancorché previste dalla legge e necessarie a perseguire il «fine costituzionalmente tracciato» che le giustifica, non possono sfuggire, infatti, alla riserva di giurisdizione, perché, separando l’individuo o un gruppo circoscritto di individui dal resto della collettività, e riservando loro un trattamento deteriore, portano con sé un elevato tasso di potenziale arbitrarietà, al quale lo Stato di diritto oppone il filtro di controllo del giudice. Insomma, simili restrizioni, ove implicanti «degradazione giuridica», devono essere <<assistite dalle piene garanzie dell’habeas corpus offerte dallo statuto della libertà personale>>.

E, anche se può essere complicato, talvolta, distinguere, tra le incisioni della facoltà di locomozione, quelle che convergono, in quanto degradanti, verso la libertà personale, e quindi di competenza dell’autorità giudiziaria, e quelle che, invece, afferiscono alla mera libertà di circolazione, nel caso di specie, è palese – per la Corte – che la misura della cosiddetta quarantena obbligatoria recata dall’art. 1, comma 6, censurato <<non determina alcuna degradazione giuridica di chi vi sia soggetto e quindi non incide sulla libertà personale>>. Si è qui, infatti, in presenza di un virus respiratorio altamente contagioso, diffuso in modo ubiquo nel mondo, e che può venire contratto da chiunque, quali siano lo stile di vita e le condizioni personali e sociali. Innanzi a tali presupposti, la misura predisposta dal legislatore concerne quindi una vasta ed indeterminata platea di persone. E’, dunque, di immediata evidenza che l’<<accertamento dello stato di positività non si congiunge ad alcuno stigma morale, e non può cagionare mortificazione della pari dignità sociale, anche alla luce del fatto che si tratta di una condizione condivisa con milioni di individui, accomunati da null’altro che dall’esposizione ad un agente patogeno trasmissibile per via aerea>>.

Infine, con una decisione adottata il 1° dicembre scorso, la Corte ha respinto una questione di legittimità riguardante ulteriori profili della disciplina di contrasto alla pandemia da Covid-19. Le motivazioni della sentenza non sono ancora state depositate, ma in un comunicato ufficiale la Corte reso noto, infatti, di non avere ritenuto irragionevoli né sproporzionate le scelte fatte dal legislatore riguardo all’obbligo vaccinale del personale sanitario; e alla medesima conclusione è pervenuta con riguardo alla previsione che esclude, in caso di inadempimento di quell’obbligo e per il tempo della sospensione, la corresponsione di un assegno a carico del datore di lavoro per chi sia stato sospeso (e ciò, sia per il personale sanitario, sia per il personale scolastico).

Note e riferimenti bibliografici

(1) Il protocollo sanitario per l’anno scolastico 2020-2021, sottotitolato “Guida al funzionamento delle scuole e degli istituti scolastici nel contesto COVID”, prevede l’obbligo per gli alunni di indossare una mascherina di categoria 1, che non è prevista dal decreto.

(2) Conseil d’État, 10ème et 9ème chambres réunies, 22 décembre 2020, 439996, Inédit au recueil Lebon.

(3) C. Schouler, E. Carpentier, L. Mucchielli et 73 juristes, « Covid : les mesures restrictives de liberté ne résistent pas au test de proportionnalité », in L. Mucchielli (dir.), La Doxa du Covid, Tome 2 : Enquête sur la gestion politico-sanitaire de la crise, Bastia, Eoliennes, 2022, p. 457-460.

(4) A. Pena, « La liberté individuelle face au Covid-19 : l’adaptation des garanties de l’article 66 de la Constitution aux circonstances d’urgence sanitaire », Les petites affiches-gazette du Palais, n°240, 1er décembre 2020.

(5) V. Sizaire, « L’état d’urgence sanitaire menace-til les libertés fondamentales ? », The Conversation, 6 avril 2020.

(6) Nella Guidance on “Mask Use for COVID-19”, del 5 giugno 2020, l’OMS afferma: “Non ci sono prove dirette sull’efficacia dell’uso diffuso di maschere da parte dei benefattori per prevenire l’infezione da virus respiratori, incluso il COVID-19”.

(7) A. Dirou, « Covid-19 et surveillance de la population », in G. Le Floch (dir.), Covid-19, approches de droit public et de science politique, Paris, Berger Levrault, 2021, p. 237-247.

(8) Avis de la CNCDH sur la prorogation de l’état d’urgence sanitaire et libertés, 26 mai 2020.

(9) CNIL, Délibération du 8 mai 2020.

(10) C. Dalmont, « Du confinement des personnes à la confiscation des libertés publiques », Le Point, 2 avril 2020.

(11) L. Mucchielli, La doxa du Covid, tome 1 : Peur, santé, corruption et démocratie, Bastia, éditions Eoliennes, 2022, p. 72sqq.

(12) Fonti : Les établissements de santé en 2019. Les chiffres clés (DREES) ; Les chiffres clés de l’offre de soins, DGOS, 2018 ; Les services à la personne en 2018, DARES résultats, 2020, n°11, Le taux d’encadrement dans les Ehpad, Les dossiers de la DREES, 2020, n°68 ; et l’Enquête Emploi de l’INSEE.

(13) C. Schouler, « Le laissez-passer sanitaire, un dispositif discriminatoire au sens de la loi », in L. Mucchielli (dir.), La Doxa du Covid, Tome 2, Op.cit., p. 461-470 ; A. Negroni, « Les vaccins génétiques anti-covid sont une forme d’expérimentation médicale », in L. Mucchielli (dir.), La Doxa du Covid, Tome 2, Op.cit., p. 471-477.

(14) Risposte del Presidente della Repubblica alle domande dei lettori del quotidiano Le Parisien-Aujourd’hui en France, 4 janvier 2022.

(15) Décision n° 2022-835 DC du 21 janvier 2022. Con questa decisione, il Consiglio Costituzionale “rinuncia puramente e semplicemente a qualsiasi controllo sulla necessità del provvedimento”, scrive giustamente Vincent Sizaire (« Un passeport pour la coercition ? », La Revue des droits de l’homme [En ligne], Actualités Droits-Libertés, 2 mai 2022).

(16) L’abbandono dell’introduzione della vaccinazione obbligatoria per Covid è dovuto al fatto che l’Agenzia Europea dei Medicinali ha concesso solo autorizzazioni provvisorie per questi nuovi medicinali, rilasciate in via d’urgenza e subordinate, in particolare, alla presentazione da parte del produttore di un rapporto periodico aggiornato sulla sicurezza del prodotto (https://www.ema.europa.eu/en/human-regulatory/overview/public-health-threats/coronavirus-disease-covid-19/treatments-vaccines/vaccines-covid-19/covid-19-vaccines-authorised).

(17) L. Mucchielli, « La vaccination à l’épreuve des faits. 1ère partie : les chiffres de l’épidémie », », in L. Mucchielli (dir.), La Doxa du Covid, Tome 2 : Enquête sur la gestion politico-sanitaire de la crise, Op.cit., p. 345-355 ; H. Banoun et al., « La vaccination à l’épreuve des faits. 2ème partie : une mortalité inédite », in L. Mucchielli (dir.), La Doxa du Covid, Tome 2, Op.cit., p. 357-372.

(18) P. Ségur, « Pourquoi la vaccination obligatoire anti-covid viole l’Etat de droit », in L. Mucchielli (dir.), La Doxa du Covid, Tome 2, Op.cit., p. 461-470 ; A. Negroni, « Les vaccins génétiques anti-covid sont une forme d’expérimentation médicale », in L. Mucchielli (dir.), La Doxa du Covid, Tome 2, Op.cit., p. 479-486.

(19) P. Cassia, « Coronafolie », Mediapart. Le blog de Paul Cassia, 20 janvier 2021.

(20) J. Hummel, « Une culture parlementaire révélée. Rationalité gouvernementale et contrôle caméral de l’état d’urgence sanitaire », in G. Le Floch (dir.), Covid-19, approches de droit public et de science politique, Op.cit., p. 99-116 ; E. Lemaire, « Le Parlement face à la crise du Covid », Le blog de Jus Politicum, 13 avril 2020.

(21) T. Desmoulins, « La formalisation du présidentialisme sous la Cinquième République : le Conseil de défense et de sécurité nationale », Jus Politicum, n°25, janvier 2021.

(22) G. Eveillard, « Le Conseil d’Etat, juge du référé-liberté à l’heure de la covid-19 », in G. Le Floch (dir.), Covid-19, approches de droit public et de science politique, Op.cit., p. 199-216.

(23) P. Cassia, « Etat d’urgence sanitaire : le Conseil d’Etat (ne) change (que) sa méthode », Mediapart. Le blog de Paul Cassia, 2 mai 2020.

(24) O. Beaud, C. Guérin-Bargues, « L’état d’urgence sanitaire : était-il judicieux de créer un nouveau régime d’exception ? », Recueil Dalloz, avril 2020, p. 891sqq ; L. Mucchielli, « La France a quitté en 2020 le peloton de tête du classement mondial des démocraties », Kairos, avril-mai 2022, p. 20.

(25) Décision du Conseil constitutionnel n° 2020-878/879 QPC du 29 janvier 2021,

(26) J. Jeanneney, « La non-théorie des ‘circonstances particulières’ », AJDA, avril 2020, p. 843sqq ; O. Beaud, C. Guérin-Bargues, « L’état d’urgence sanitaire : était-il judicieux de créer un nouveau régime d’exception ? », Op.cit. ; P. Cassia, « Le Conseil constitutionnel déchire la Constitution », Mediapart. Le blog de Paul Cassia, 27 mars 2020 ; R. Letteron, « Covid-19 : Le Conseil constitutionnel marche sur la Constitution », Liberté, libertés chéries, 28 mars 2020.

(27) V. Audubert, « Face aux menaces sur les libertés publiques, les juristes doivent prendre parti », Dalloz Actualités, 23 Octobre 2020.

(28) L. Toubiana et al., « L’épidémie de Covid-19 a eu un impact relativement faible sur la mortalité en France », in L. Mucchielli (dir.), La Doxa du Covid, Tome 2, Op.cit., p. 435-441.

Contributi simili

Pubblicato il rapporto sulla visita effettuata dal CPT in Spagna dal 14 al 28 settembre del 2020. Le osservazioni di David Colomer Bea, Profesor Ayudante Doctor de Derecho Penal, Universitat de València

Nel settembre 2020, una delegazione del CPT ha visitato la Spagna per conoscere il trattamento di uomini e donne privati ​​della libertà nelle unità di polizia, nelle carceri e nei centri di detenzione per i minori.…

Leggi tutto...

23 Novembre 2021

La Consulta dichiara applicabile il 41-bis agli internati nelle case di lavoro

“Le speciali restrizioni previste dall’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario sono applicabili anche agli internati”. Con queste parole si apre il comunicato della Corte costituzionale sulla sentenza n. 197, depositata il 21 ottobre 2021. Con questo principio, la Consulta ha rigettato tutte le censure sollevate dalla Corte di Cassazione sull’opportunità di sottoposizione al regime del 41 bis degli internati, ovvero quei soggetti considerati socialmente pericolosi e, in quanto tali, sottoposti, dopo l’espiazione della pena in carcere, alla misura di sicurezza detentiva dell’assegnazione a una casa di lavoro.…

Leggi tutto...

22 Ottobre 2021

La Corte di cassazione chiarisce alcune questioni in tema di giudizio di ottemperanza ex art. 35 bis o.p.

Le questioni affrontate nella sentenza di Cass., sez. I, 13 gennaio 2022, n. 17167, riguardano due noti interrogativi, emersi, nel corso del tempo, nell’ambito del giudizio di ottemperanza instaurato a norma dell’art. 35-bis ord. penit. (e dunque nella procedura di reclamo giurisdizionale). Il primo concerne l’individuazione del giudice competente. Stando al comma 5 dell’art. 35-bis ord. penit., la mancata esecuzione dell’ordinanza che ha deciso sul reclamo può essere denunciata (dall’interessato o dal suo difensore munito di procura speciale) «al magistrato di sorveglianza che ha emesso il provvedimento». Nessun dubbio, quindi, quando il provvedimento non eseguito dall’amministrazione sia stato emanato proprio dall’organo monocratico di sorveglianza: il giudice competente per l’ottemperanza è certamente il magistrato che ha pronunciato il provvedimento rimasto ineseguito.…

Leggi tutto...

17 Giugno 2022

A cura di Angelo Golia, Maria Pia Iadicicco, Paola Maggio, Mena Minafra
Radicalizzazione e carcere: i primi risultati di una ricerca europea

Sommario: 1. Caratteri e obiettivi del progetto.- 2. Il quadro giuridico.- 2.1. I diritti da implementare. – 2.2. Legislazione simbolico-reattiva.…

Leggi tutto...

18 Maggio 2023

E’ legittima la decisione con cui il Tribunale di sorveglianza di L’Aquila ha negato la concessione del permesso premio a un esponente di spicco della criminalità organizzata (Cass., I, 6 luglio 2022, F. Graviano)

La sentenza della Cassazione in oggetto trae origine dall’ordinanza con cui il Tribunale di Sorveglianza di L’Aquila rigettava il reclamo proposto contro l’ordinanza del Magistrato di sorveglianza che aveva respinto la richiesta presentata dal medesimo di accedere all’istituto dei permessi premio. Conformemente ai giudici di merito, la Cassazione ritiene, invero, che un’adeguata valorizzazione della riscontrata <> e della <> non si presti a “compensare” la mancanza di <> dal <> e la <>.…

Leggi tutto...

30 Novembre 2022

Ergastolo ostativo e permessi premio: le risposte della Magistratura di Sorveglianza nelle more della riforma parlamentare

In attesa della tanto contesa riforma parlamentare, in limine con il termine dato dalla Corte costituzionale al Parlamento, la Magistratura di sorveglianza prosegue il proprio operato, cercando di applicare i criteri interpretativi della sentenza n. 253 del 2019 in materia di permessi premio ai condannati alla pena dell’ergastolo, in assenza di collaborazione con la giustizia.…

Leggi tutto...

4 Maggio 2022

Torna in cima Newsletter