L’Ufficio di Sorveglianza di Spoleto ha sollevato con l’ord. 5 luglio 2022 (dep. 5 agosto 2022), n. 1331 – estensore il dott. Fabio Gianfilippi – una questione di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis comma 2-quater lett. b l. 354/1975 nella parte in cui prescrive che il colloquio visivo del detenuto in regime differenziato avvenga in locali che impediscano il passaggio di oggetti anche quando i figli e i nipoti in linea retta siano minori degli anni 14, ravvisando un contrasto di tale previsione con gli artt. 3, 27, 31 e 117 Cost. in relazione all’art. 3 della Convezione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e all’art. 8 della Convenzione Edu.
La vicenda trae origine dal reclamo presentato da un detenuto sottoposto al regime di cui all’art. 41-bis, c. 2, ord. pen. che chiedeva di poter svolgere dei colloqui visivi senza vetro divisorio col proprio figlio maggiore, il quale aveva compiuto gli anni dodici durante il periodo di vigenza delle restrizioni conseguenti all’emergenza sanitaria da COVID-19, restrizioni tra cui, appunto, la sospensione dei colloqui tra il detenuto e i figli e i nipoti minori di dodici anni con contatto diretto.
Il reclamante sottolineava che la limitazione aveva interessato anche il rapporto con la figlia minore, che avrebbe compiuto dodici anni a breve. In subordine alla richiesta di rimozione del vetro divisorio, chiedeva la concessione di ulteriori colloqui con il figlio già dodicenne compensativi di quelli impediti, quanto meno fino al compimento dei tredici anni.
Il reclamo, dunque, investiva, più che la prescrizione dell’art. 41-bis, c. 2-quater o.p. di svolgere i colloqui in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti, la disposizione contenuta nella circ. Dap 02/10/2017, n. 3676/6126, che dà attuazione a tale prescrizione consentendo che “i colloqui con i figli e con i nipoti in linea retta minori di anni 12, avvengano senza vetro divisorio per tutta la durata, assicurando la presenza del minore nello spazio riservato al detenuto e la contestuale presenza degli altri familiari dall’altra parte del vetro” (art. 16, c. 6), e ponendo, quindi, una netta soglia d’età oltre la quale viene ripristinato lo svolgimento del colloquio con vetro divisorio a tutt’altezza che vale per gli adulti. L’ordinanza di remissione de qua prende le mosse da tale censura alla soglia d’età prevista dalla Circolare per appuntare il dubbio di costituzionalità più a monte sulla formulazione del comma 2-quater lett. b dell’art. 41-bis o.p. A parere del Magistrato di Sorveglianza di Spoleto, infatti, ad essere dirimente è l’analisi testuale della previsione di legge, che, con una “formula decisamente tranciante in senso negativo”, si presta a essere letta nel senso di “interdire sempre e con chiunque i colloqui visivi senza vetro divisorio”, non lasciando spazio per “una discrezionalità amministrativa, anche ove volta a mitigare gli effetti potenzialmente incostituzionali della lettera della legge” (v. ordinanza di remissione, p. 4).
L’ordinamento penitenziario considera i rapporti con la famiglia tra gli elementi fondamentali del percorso trattamentale (art. 15 c.1 o.p.) e prevede “particolare cura” nel mantenere, migliorare o ristabilire tali relazioni (art. 28 o.p.). Tra le varie misure contenute nella l. 354/1975 in cui ciò si traduce (v., ad esempio, le immediate comunicazioni ai congiunti sullo stato di detenzione, dei trasferimenti, delle malattie e dei decessi, art. 29; i permessi di cui all’art. 30; l’assistenza alle famiglie di cui all’art. 45), i colloqui visivi e telefonici svolgono un ruolo fondamentale nel garantire i contatti coi familiari anche durante il periodo di detenzione [così Ardita-Degl’Innocenti-Faldi, p. 84].
Il regime ordinario dei colloqui visivi è previsto dall’art. 18 o.p. Dal combinato disposto della legge e del Regolamento esecutivo (d.P.R. 230/2000) si ricava che i colloqui si svolgono in appositi locali sotto il controllo a vista e non uditivo del personale di custodia. Avvengono senza mezzi divisori o in spazi all’aperto, salvo che sussistano ragioni sanitarie o di sicurezza che richiedano una divisione fisica. Il numero previsto è di sei colloqui al mese della durata massima di un’ora ciascuno. In eccezionali circostanze, è possibile prolungare la durata e comunque essa può arrivare alle due ore quando i congiunti o conviventi risiedono in un comune diverso da quello in cui ha sede l’istituto e l’interessato non abbia fruito del colloquio la settimana precedente. Il numero massimo è di tre persone oltre al detenuto, ma è ammessa una deroga in caso di congiunti o conviventi.Si deve, da ultimo, al d.lgs. 123/2018, in attuazione della delega di cui alla l. 103/2017 (c.d. riforma Orlando), l’aggiunta della precisazione al comma 3 per cui “i locali destinati ai colloqui con i familiari favoriscono, ove possibile, una dimensione riservata del colloquio e sono collocati preferibilmente in prossimità dell’ingresso dell’istituto” con la specificazione che “particolare cura è dedicata ai colloqui con i minori di anni quattordici“.
A fronte di questa disciplina comune, il regime dell’art. 41-bis c.2 o.p. – col preciso proposito di recidere i legami con l’ambiente criminale di provenienza del detenuto per uno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell’articolo 4-bis c.p. o comunque per un delitto che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso, in relazione ai quali vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica o eversiva – ha disposto plurime deroghe e pesanti limitazioni anche ai colloqui visivi coi familiari.
Com’è noto, il secondo comma dell’art. 41-bis o.p. fu introdotto dall’art. 19 d.l. 36/1992 (convertito, con modificazioni, nella l. 356/1992), a seguito delle stragi di mafia del 1992, per consentire la sospensione, per esigenze di ordine e sicurezza, della disciplina penitenziaria ordinaria nei confronti dei detenuti per reati di criminalità organizzata. I primi contenuti relativi ai colloqui visivi furono, in realtà, inseriti in tale articolo più tardi, in occasione della riforma di tale regime ad opera della l. 279/2002: sulla scorta dei contenuti già sperimentati nei decreti ministeriali di applicazione del regime differenziato emanati dal 1992, il neo-introdotto comma 2-quater prevedeva, infatti, alla lett. b), “la determinazione dei colloqui in un numero non inferiore a uno e non superiore a due al mese da svolgersi ad intervalli di tempo regolari ed in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti. Sono vietati i colloqui con persone diverse dai familiari e conviventi, salvo casi eccezionali determinati volta per volta dal direttore dell’istituto ovvero, per gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dall’autorità giudiziaria competente ai sensi di quanto stabilito nel secondo comma dell’articolo 11. I colloqui possono essere sottoposti a controllo auditivo ed a registrazione, previa motivata autorizzazione dell’autorità giudiziaria competente ai sensi del medesimo secondo comma dell’articolo 11“. Il successivo articolo 2 co. 25 lettera f), l. 94/2009 ha comportato un ulteriore inasprimento: il numero dei colloqui è stato indicato nella misura fissa di uno al mese ed è diventata obbligatoria la sottoposizione a controllo audio e la videoregistrazione.
Queste norme non esauriscono, peraltro, la disciplina dei colloqui visivi, dovendosi considerare quelle “misure non definite dalla legge, ma approntate dall’amministrazione penitenziaria, che è molte volte intervenuta ad elaborare un complesso di limitazioni, di fatto ulteriori rispetto a quelle puntualmente previste dal legislatore” [così Gianfilippi-Luparia, p. 142], raccolte, per lo più, in Circolari del DAP. La prima qui d’interesse è la Circolare 20/02/1998, n. 3470 con la quale, a proposito dei colloqui visivi, oltre a confermare la prassi già invalsa di svolgimento degli stessi in appositi locali con vetri o altre separazioni a tutta altezza che non consentissero il passaggio di oggetti di qualsiasi natura, tipo o dimensione, si contempla(va) la possibilità che i colloqui “esclusivamente con i propri figli minori degli anni 12” potessero avvenire senza vetri divisori, in sale colloqui dotate di videoregistrazione con esclusione del sonoro, con la precisazione che, per il colloquio con più persone, l’assenza del vetro divisorio sarebbe stata limitata ai soli infradodicenni con una durata non superiore a 1/6 di quella complessiva. La successiva Circolare 09/10/2003, n. 3592-6042, ha ribadito le disposizioni appena ricordate anche a seguito delle modifiche all’art. 41-bis o.p. introdotte dalla l. n. 279/2002 già esaminate.
L’attuale Circolare 02/10/2017, n. 3676/6126, si occupa dei colloqui all’art. 16 stabilendovi una disciplina molto più dettagliata e innovativa rispetto a quanto disposto dall’art. 41-bis c. 2-quater, lett. b o.p. [V. Manca].
Dopo aver confermato la scelta per locali muniti di vetro a tutta altezza, onde evitare il passaggio di qualsivoglia oggetto, la Circolare, per quel che qui interessa, ha esteso la deroga a favore degli infradodicenni con una formulazione che anche a livello letterale segna un significativo avanzamento: “in una prospettiva di bilanciamento di interessi di pari rilevanza costituzionale, tra tutela del diritto del detenuto/internato di mantenere rapporti affettivi con i figli e i nipoti e quello di garantire la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, il detenuto/internato potrà chiedere che i colloqui con i figli e con i nipoti in linea retta minori di anni 12, avvengano senza vetro divisorio per tutta la durata, assicurando la presenza del minore nello spazio riservato al detenuto e la contestuale presenza degli altri familiari dall’altra parte del vetro“. In breve, si registra l’apertura ai nipoti in linea retta, l’estensione del contatto diretto con gli infra-dodicenni a tutta la durata del colloquio e la possibile compresenza degli altri familiari, per quanto separati dal vetro divisorio. A seguire, sono dettati gli accorgimenti per lo spostamento del minore in questione dello spazio destinato al detenuto espressamente segnalando la finalità di contemperamento delle esigenze di sicurezza con quelle del minore e lo stato di disagio che gliene può venire.
Oltre all’ascolto, anche la videoregistrazione deve essere previamente motivata con provvedimento dell’Autorità giudiziaria.
Tra i restanti contenuti, per quel che qui interessa, si segnala che al colloquio visivo la Circolare del 2017 ammette i familiari entro il terzo grado di parentela o affinità, quindi anche i nipoti ex filio (figli di figli) e i nipoti ex fratre (figli di fratelli o sorelle), ed equipara espressamente il convivente al familiare avente diritto.
Inoltre, è disciplinato l’aspetto degli oggetti escludendo che l’interessato possa portarne con sé al colloquio, ad eccezione di un pacchetto di fazzolettini di carta sigillati e una bottiglia d’acqua sigillata e senza etichetta, sottoponendolo alla perquisizione con metal-detector prima e dopo la fruizione del colloquio. Così, è stata relegata alle sole comprovate ragioni di sicurezza la perquisizione manuale, su cui è obbligatorio redigere apposita relazione di servizio ove siano attestate le motivazioni dell’attività compiuta.
E’ contemplata anche l’ipotesi che il detenuto sia stato autorizzato ad acquistare al sopravvitto generi da regalare ai congiunti, stabilendo che essi, depositati presso il magazzino della sezione senza alcun contatto con l’interessato, saranno consegnati ai familiari a cura del personale di polizia e solo al termine del colloquio.
Come segnalato dalle considerazioni della stessa Circolare sopra riportate sul bilanciamento delle esigenze di sicurezza con quelle di tutela degli affetti familiari e del rispetto del minore, l’evoluzione brevemente ripercorsa non è casuale ed estemporanea, bensì il frutto della riflessione a più livelli (sovranazionale e interno) che ha acuito l’attenzione sull’importanza delle relazioni familiari, del loro ruolo nel percorso di risocializzazione e della salvaguardia del superiore interesse dei minori coinvolti in tali dinamiche.
Tale riflessione prende l’abbrivio dagli artt. 29, 30 e 31 Cost., dedicati alla tutela dei diritti della famiglia; dall’art. 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, sulla preminenza del superiore interesse del fanciullo da accordarsi in tutte le decisioni di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi; sull’art. 8 della Convenzione europea dei diritto dell’uomo, sul diritto al rispetto della vita privata e familiare.
Gli stessi riferimenti si ritrovano nell’ordinanza di remissione, qui in esame, a fondamento del diritto della persona detenuta a mantenere rapporti con il proprio nucleo familiare e, in particolare, coi soggetti minori in più tenera età.
Tali norme furono, non a caso, a suo tempo, richiamate dallo stesso giudicante nell’ordinanza 10 luglio 2013 con cui fu dichiarata illegittima la limitazione della Circolare del 2003 secondo cui il colloquio visivo della persona detenuta in regime differenziato con i figli e gli abiatici minori di anni 12, già limitato ad un sesto della sua durata complessiva senza vetro divisorio, dovesse avvenire in assenza dell’altro genitore e degli altri familiari adulti ammessi al colloquio [v. Trib. Sorv. Spoleto, ord. 10 luglio 2013, estensore Gianfilippi, in Diritto di famiglia e delle persone, 2014, p. 221, con nota di Mastropasqua].
Come visto, questa specifica limitazione è stata superata dalla Circolare del 2017.
Lo svolgimento dei colloqui visivi coi minori e la presenza del vetro divisorio sono, però, ancora all’attenzione della giurisprudenza di legittimità e di merito per altri profili. Merita segnalare, in particolare, la questione relativa alla consegna diretta durante il colloquio visivo senza vetro divisorio coi minori infra-dodicenni di oggetti, quali dolci e giocattoli, acquistati dal detenuto al sopravvitto per donarli ai familiari. In proposito, sono da segnalare due primi dinieghi della Magistratura di sorveglianza alla richiesta del detenuto di consegna diretta durante il colloquio, seguiti da provvedimenti contrari del Tribunale di Sorveglianza dell’Aquila, che riteneva, invece, la consegna di un giocattolo o di un dolce come “esplicazione del rapporto tale che le ragioni di sicurezza debbano considerarsi sufficientemente garantite dalla videoregistrazione”. A seguito dell’impugnazione del Ministero della Giustizia, la Suprema Corte considerava fondate le ragioni dell’Amministrazione penitenziaria valutando che il contemperamento tra la tutela delle relazioni familiari e le esigenze di ordine e sicurezza pubblica realizzato dalla Circolare del 2017, reso attraverso la consegna di tali oggetti per mezzo del personale di sicurezza a fine colloquio, fosse ragionevole. Il Tribunale di Sorveglianza avrebbe, dunque, prima di disapplicare la Circolare, dovuto verificare se la traditio in concreto potesse comportare dei rischi per le esigenze di sicurezza sociale e per l’ordine e la sicurezza pubblica [Cass., sez. I, 4 dicembre 2020, n. 10349; conf. Cass., sez. I, 4 dicembre 2020, n. 10350; Cass., sez. I, 19 gennaio 2021, n. 15094; Cass., sez. I, 19 gennaio 2021, n. 15095].
A distanza di poco, l’orientamento di legittimità è stato ribaltato dalla decisione che ha confermato le valutazioni dei giudici territoriali che avevano rilevato che detto divieto fosse in contrasto con le esigenze di armonico sviluppo della personalità della minore e delle relazioni familiari, di chiara ascendenza costituzionale, sul presupposto che la consegna diretta dell’oggetto da parte del genitore potesse assumere un significato ben più pregnante, sul piano affettivo, di quella effettuata dal personale penitenziario. Pur consapevole della scelta compiuta in astratto dal legislatore di non consentire, senza alcuna eccezione, la consegna di oggetti da parte del detenuto sottoposto al regime differenziale di cui all’art. 41-bis o.p., la Cassazione ha inteso collocare la previsione “nell’ampio e articolato tessuto giurisprudenziale costituzionale che ha da sempre evidenziato la necessità che le limitazioni al regime penitenziario ordinario previste da tale disposizione debbano essere “congrue” rispetto allo scopo che esse perseguono (cfr. le sentenze della Corte Cost., n. 149 del 2018, n. 351 del 1996 e n. 349 del 1993)“, ritenendo quindi che la specifica limitazione “non si giustificherebbe quando la consegna dell’oggetto potesse essere effettuata con modalità assolutamente idonee a preservare le evidenziate e indispensabili esigenze di sicurezza (ad es. con la consegna dell’oggetto in confezione sigillata, magari messo a disposizione del detenuto, da parte del personale, solo pochi istanti prima, mentre sia stato nel frattempo garantito un ininterrotto controllo visivo o comunque con modalità che non consentano, per la vigilanza attuata o per le caratteristiche del bene, una qualunque forma di manipolazione)“. Non meno significativo il richiamo al “principio secondo cui il decremento di tutela di un diritto fondamentale – quale è indubitabilmente sia quello connesso all’ordinario sviluppo del minore, sia quello di svolgimento delle relazioni familiari in forme il più possibile normali ex art. 30 Cost., 8 CEDU, 15 o.p. – è illegittimo se a esso non fa riscontro un corrispondente incremento di tutela di altro interesse di pari rango (così Corte Cost., n. 143 del 2013) che possa essere diversamente protetto“. La Suprema Corte ha, quindi, considerato valido l’accertamento in concreto compiuto dai giudici di merito circa l’impossibilità che la consegna dei menzionati oggetti, attuata in un contesto di assoluto controllo da parte dell’Amministrazione penitenziaria, possa determinare alcuna situazione di rischio rispetto alle esigenze proprie del regime differenziato, ovvero il rischio di una strumentalizzazione del colloquio per realizzare, attraverso il minore, forme di indebita comunicazione con il sodalizio criminale di provenienza [Cass., sez. I, 24 marzo 2021, n. 24683; conf., ex multis e da ultimo, Cass., sez. I, 18 novembre 2021, n. 47186]. E’ interessante evidenziare come, nella soluzione di questa questione, la Corte di cassazione abbia deliberatamente superato il dato letterale di categorico divieto di consegna diretta di oggetti, sancito dall’art. 41-bis c. 2-quater lett. b) o.p. sul piano squisitamente ermeneutico, avvalendosi degli autorevoli precedenti costituzionali citati che hanno dato prevalenza alla tutela dello sviluppo del minore e dello svolgimento delle relazioni familiari.
L’altro filone giurisprudenziale in tema di vetro divisorio che risulta qui utile richiamare fa capo a quelle decisioni che hanno risolto in senso sfavorevole i reclami dei detenuti in regime differenziato che richiedevano di estendere la platea dei soggetti minorenni ammessi al colloquio visivo senza separazione fisica. Due prime sentenze riguardano i colloqui con i nipoti in linea collaterale (nipoti ex fratre) minori di dodici anni [Cass., sez. I, 30 maggio 2019, n. 30380; Cass., sez. I, 9 aprile 2021, n. 28260].
La Cassazione, confermando i concordi rigetti dei giudici territoriali, ha ricordato che il vetro divisorio è strettamente funzionale all’obiettivo di impedire i collegamenti dei detenuti in regime differenziato con l’associazione di appartenenza, rimettendo all’Amministrazione penitenziaria il potere di regolamentarne la concreta applicazione, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento e senza rendere comunque inutilmente più penosa la regola speciale imposta o provocare un’inutile compressione di diritti costituzionalmente garantiti. Proprio per rispettare i valori costituzionali coinvolti, è, quindi, ammessa la deroga che consente al detenuto il colloquio fisico immediato coi i suoi discendenti minori di dodici anni per l’intera durata del colloquio “salvaguardando, nella fase della loro più intensa necessità, i rapporti parentali più stretti”. La Corte conclude sottolineando che, invece, l’ulteriore estensione della deroga ad altri soggetti “oltre le finalità per le quali è stata introdotta, ne stravolgerebbe il senso e il fondamento, irrazionalmente compromettendo le ragioni stesse per cui il regime detentivo differenziato ottiene cittadinanza nell’ordinamento giuridico-penale” [v. Cass., sez. I, 30 maggio 2019, n. 30380]. Solo in presenza di eccezionali circostanze (nel caso, ad es. in cui il recluso non abbia parenti prossimi entro il terzo grado), la stessa Circolare prevede la facoltà dell’interessato di chiedere alla direzione dell’istituto penitenziario di essere ammesso al colloquio con terze persone, anche, eventualmente, secondo le modalità derogatorie in questione; ma tali eccezionali circostanze devono essere almeno allegate dal detenuto, in difetto dovendo confermarsi la disciplina limitativa, di complessiva ragionevolezza [v. Cass., sez. I, 9 aprile 2021, n. 28260].
Il terzo e ultimo caso da segnalare è anche quello la cui vicenda concreta è maggiormente assimilabile a quella oggetto dell’ordinanza di remissione in esame, che, infatti, ne cita, in più occasioni, la motivazione.
Si tratta della sentenza conclusiva del procedimento attivato dal reclamo di un detenuto in regime ex art. 41-bis c. 2 o.p. che aveva richiesto di poter usufruire di colloqui visivi con il figlio maggiore di dodici anni senza il pannello divisorio isofonico. Sia il Magistrato di Sorveglianza di Spoleto, sia il Tribunale di sorveglianza di Perugia avevano respinto il reclamo considerando ragionevole la limitazione ai minori degli anni dodici “che ancora si trovano nell’infanzia e difficilmente possono essere strumentalizzati al fine di trasmettere messaggi o ordini criminosi”. La Corte di legittimità ha ribadito, da un lato, che i colloqui visivi costituiscono esercizio del fondamentale diritto del detenuto alla vita familiare e al mantenimento del rapporto con i più stretti congiunti, già riconosciuto dall’ordinamento penitenziario oltre che saldamente radicato sul piano costituzionale, per cui le limitazioni all’esercizio di tale diritto devono essere previste dalla legge e giustificate da esigenze di pubblica sicurezza, di ordine pubblico e prevenzione dei reati, di protezione della salute, dei diritti e delle libertà altrui; dall’altro lato, ha, però, anche ricordato che la scelta organizzativa dell’Amministrazione penitenziaria di limitare il colloquio senza vetro divisorio ai soli figli e nipoti in linea retta minori di 12 anni corrisponde a un esercizio non irragionevole di quella discrezionalità riconducibile alla necessità di tutela dell’ordine e della sicurezza sottesa al regime differenziato, riconosciuta dalla Corte costituzionale (il rinvio espresso è alle sentenze Corte Cost. nn. 97 del 2020 e 351 del 1996) e dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (di cui sono citate: Cedu, Sez. IL 19 gennaio 2010, Montani c. Italia; Cedu, Grande Chambre, 17 settembre 2009, Enea c. Italia; Cedu, sez. II, 12-1-2010, Mole c. Italia, quest’ultima proprio relativa alla presenza del vetro isofonico per separare fisicamente il detenuto dai familiari; Cedu, Sez. II, 13 novembre 2007, ric. 65039/01, Schiavone c. Italia). Anche se, come evidenziato dalla difesa del detenuto, la c.d. riforma Orlando ha innovato la disciplina comune interpolando l’art. 18 o.p. con l’espressa cura assegnata ai colloqui coi minori di 14 anni, questo elemento, secondo la Corte di Cassazione, non è estendibile al regime differenziato in discussione, perché escluso in via esplicita dall’ambito di applicazione della Riforma. Inoltre, la particolare cura nei colloqui degli infra-quattordicenni non implica necessariamente la volontà del legislatore di ampliare la deroga già presente al regime ex art. 41-bis c. 2-quater lett. b o.p. a favore dei minori di 12 anni “i quali, in ragione della loro età, più difficilmente possono essere strumentalizzati per aggirare le finalità proprie del regime differenziato” [Cass., sez. I, 3 novembre 2021, n. 46719].
Come accennato supra, anche la vicenda concreta oggetto del procedimento da cui è scaturita l’ordinanza di remissione de qua, origina dalla richiesta di un detenuto in regime differenziato di poter usufruire di colloqui con il figlio ultradodicenne, con la differenza che, in questo caso, la soglia di età era stata raggiunta durante il periodo di sospensione dei colloqui visivi a causa del COVID-19. Venendo, quindi, all’ordinanza in esame, essa dà subito conto, a seguito dell’istruttoria avviata con la direzione dell’istituto penitenziario, dell’applicabilità al caso del limite previsto dalla Circolare del 2017 e anche della valutazione di ragionevolezza di tale prescrizione già resa dalla sentenza di legittimità n. 46719/2021 sopra analizzata. Il Magistrato di Sorveglianza di Spoleto non contesta, invero, le conclusioni della Cassazione sulla Circolare, ma riconduce l’indagine alla norma di legge che ne costituisce il fondamento. Secondo il giudicante, l’imposizione che i colloqui visivi si svolgano sempre “in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti” (art. 41-bis c. 2-quater lett. b o.p.) stabilisce un divieto inequivoco e omnicomprensivo, senza che possa residuare alcun margine di discrezionalità all’amministrazione penitenziaria, nemmeno per mitigare gli effetti potenzialmente incostituzionali del divieto.
Ne consegue la questione di costituzionalità. Essa appare al giudice rilevante perché, se la norma fosse dichiarata costituzionalmente illegittima, ne conseguirebbe l’accoglimento del reclamo e il rigetto nel caso inverso. Più articolata la motivazione in punto di non manifesta infondatezza.
La disposizione censurata è riconosciuta come una norma cardine del sistema per i suoi importanti riflessi sull’umanità della pena e sul mantenimento dei rapporti con la famiglia, ma anche perché i colloqui visivi costituiscono un momento particolarmente favorevole per veicolare informazioni con l’esterno. Anche per questo, il prosieguo della norma prevede due ulteriori accorgimenti di sicurezza, quali la sottoposizione alla registrazione e all’ascolto e la videoregistrazione del colloquio, da intendersi come cumulativi rispetto alla predisposizione di locali adeguati.
L’apertura compiuta dalla circolare ministeriale allo svolgimento dei colloqui con figli e nipoti in linea retta minori di 12 anni senza il vetro divisorio a tutta altezza si pone, secondo il giudice a quo, in contrasto con la lettera non equivoca della legge e si traduce in un esercizio di discrezionalità non consentito dalla limitazione espressa già compiuta dal legislatore.
Per tale conclusione, l’ordinanza di rimessione rinvia alla giurisprudenza costituzionale e, in particolare, alla recente C. Cost. n. 18 del 2022 che ha sancito l’incostituzionalità dell’art. 41-bis comma 2-quater, lettera e) o.p. nella parte in cui non esclude dalla sottoposizione a visto di censura la corrispondenza intrattenuta con i difensori, ritenendo la questione ammissibile anche a fronte di disposizioni non lesive sul punto contenute nella Circolare DAP del 2017. E’, appunto, sulla norma di legge che, anche nel presente caso, deve svolgersi la verifica di compatibilità costituzionale.
Quanto al contrasto con il diritto della persona detenuta a mantenere rapporti con il proprio nucleo familiare, sancito a livello costituzionale, esso viene, nell’ordinanza, specificato, rispetto ai figli e ai nipoti in età più giovane, valorizzando l’importanza di un contatto fisico per questi soggetti “per i quali, più e meglio di ogni dialogo, fondamentale è il mantenimento di una relazione fatta di fisicità e di effusioni, semplici e immediate, come quelle che derivano dai baci e dagli abbracci che costituiscono il nucleo più intuitivo del rapporto tra genitori e figli e tra nonni e nipoti in più tenera età”.
Per altro verso, tale limitazione al suddetto diritto non sarebbe giustificata da esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza perché, nel caso di specie, i minori in tenera età non possono ragionevolmente ritenersi strumento per veicolare da e per l’esterno informazioni e, inoltre, sarebbero già sufficiente presidio l’ascolto dei colloqui e la loro audio e video registrazione.
Il contrasto ravvisato con riferimento agli artt. 31 e 117 Cost. in combinato con l’art. 3 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia è motivato ancorando il superiore interesse del fanciullo al momento del colloquio visivo come unico in cui il rapporto con il genitore può esplicarsi: “quando il minore è infante o ancora nelle fasi dello sviluppo, il rapporto fisico con il genitore acquista un ruolo anche intuitivamente centrale, non sostituibile da un dialogo che può non essere neppure possibile, con l’ostacolo del vetro, o comunque rivelarsi inefficace a sviluppare un rapporto umano”.
Rispetto all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, l’ordinanza ricorda che, anche in tale ambito, le limitazioni ai contatti coi familiari devono sempre essere giustificate da esigenze di ordine pubblico e di prevenzione dei reati, devono essere genuinamente inevitabili e comunque va prestata una speciale attenzione ai colloqui coi minori al fine di evitare, per quanto possibile, condizioni stressanti per i bambini (espressamente si rinvia, per tali profili, alla giurisprudenza CEDU: Van der Ven c. Paesi Bassi 2003; Messina n. 2 c. Italia 1994; Horych c. Polonia 2012). Tutti profili con cui la norma censurata entra in contrasto.
Individuati i parametri del ravvisato dubbio di costituzionalità, il giudice a quo dedica, quindi, l’ultima parte alla fissazione della più ragionevole soglia d’età al di sotto della quale l’imposizione del vetro divisorio si risolva, per i motivi già visti, in un grave pregiudizio.
Nell’ordinamento penitenziario, la norma che viene in considerazione è il comma 3 dell’art. 18 per come modificato dalla Riforma Orlando con l’indicazione della particolare cura da dedicare ai colloqui coi minori degli anni quattordici.
Rispondendo all’obiezione posta da Cass. n. 47619/2021 – che aveva rilevato che la legge-delega di riforma aveva espressamente escluso dalle modifiche l’art. 41-bis o.p. –, si evidenzia come il legislatore abbia, con tale modifica, comunque “tracciato una asticella in relazione all’età” che diventa rilevante anche con riferimento agli infraquattordicenni familiari di ristretti in regime differenziato, a pena, altrimenti, di una irragionevole discriminazione.
La soglia dei quattordici anni è rilevante anche in altri ambiti dell’ordinamento, sancendo la soglia dell’imputabilità e coincidendo anche con la conclusione del ciclo di scuola secondaria inferiore, individuando così il momento di passaggio all’”adolescenza piena”. Consentirebbe, infine, secondo l’ordinanza in esame, di spingere più avanti, in un frangente di maggiore consapevolezza, il momento del passaggio da una possibilità di contatto diretto col familiare detenuto all’uso del vetro divisorio.
Lo sforzo compiuto dal giudice remittente è, insomma, quello di delimitare nella maniera più ragionevole, anche dal punto di vista sistematico, oltre che umano, un “sottogruppo meno vasto di quello dei minori globalmente intesi” in cui ricomprendere coloro che, assai meno degli altri, possano essere strumentalizzati per la veicolazione di messaggi da e verso l’esterno, a scanso della quale sono comunque presenti le altre misure di sicurezza dell’ascolto e dell’audio e videoregistrazione dei colloqui.
Il conflitto con i parametri costituzionali e, per norma interposta, con quelli sovranazionali è, dunque, motivato in maniera molto approfondita sul piano normativo e giurisprudenziale, ma anche prestando la massima attenzione alla dimensione concreta in cui i diritti enunciati devono, poi, trovare esplicazione.
L’apprezzabile scelta ermeneutica di base compiuta dal remittente nel senso di superare il piano della verifica di ragionevolezza degli strumenti di prassi – già sperimentata dalla Cassazione con esiti conservativi delle limitazioni contenute nella Circolare DAP – per riportare l’attenzione dell’interprete sulla norma di legge principale ha, quindi, trovato traduzione in una lineare disamina di tutti i profili di possibile incostituzionalità della stessa.
Se, a livello espresso, sembra mancare il passaggio dell’indagine su una possibile interpretazione costituzionalmente orientata, esso è, in realtà, ricavabile indirettamente sia dalla menzione della sentenza della Corte di legittimità che segnala il giudizio di ragionevolezza invalso nel “diritto vivente”, sia dal rinvio alla più recente decisione della Corte costituzionale, ove si conferma la sufficienza del tentativo implicito di un’interpretazione adeguatrice reso dall’analisi del dato letterale della norma censurata “che costituisce il naturale limite dello stesso dovere del giudice di interpretare la legge in conformità alla Costituzione” (Corte Cost. n. 18/2022).
L’invocata sentenza “addittiva” di incostituzionalità, con intervento diretto sulla formulazione dell’art. 41-bis c. 2-quater o.p., corrisponderebbe, peraltro, alle proposte maturate in seno alla riflessione condotta in occasione degli Stati Generali dell’Esecuzione penale. Si rinviene, infatti, nella relazione finale del Tavolo di lavoro n. 2 (dedicato a “Vita detentiva. Responsabilizzazione del detenuto, circuiti e sicurezza” e coordinato dal dott. Marcello Bortolato) la proposta di inserire direttamente nell’articolo citato la previsione che “i colloqui coi figli e i nipoti in linea retta si possano effettuare senza separazioni” e alla presenza degli altri familiari (sottoposti, invece, alle delimitazioni ordinarie), per quanto qui l’età-soglia sia ancora quella dei dodici anni.
E’ evidente che l’auspicata modifica a livello di norma primaria abbia una valenza più pregnante e dia maggiori garanzie di uniformità d’applicazione a tutela di tali delicatissimi diritti.
Riferimenti bibliografici
Ardita-Degl’Innocenti-Faldi, Diritto penitenziario, Firenze, 2020
Gianfilippi-Luparia, Organizzazione penitenziaria, ordine e sicurezza, in Della Casa-Giostra, Manuale di diritto penitenziario, Torino, 2020
Manca, Il DAP riorganizza il 41-bis o.p.: un difficile bilanciamento tra prevenzione sociale, omogeneità di trattamento ed umanità della pena, in https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/ 6 novembre 2017
Mastropasqua, I colloqui visivi con figli e nipoti minorenni della persona sottoposta al regime penitenziario differenziato ex art. 41-bis legge 26 luglio 1975, n. 354, in Diritto di famiglia e delle persone, 2014, p. 221
a cura dell’avv. Eleonora Antonuccio
cultore di Diritto Processuale Penale e di Giustizia Riparativa
presso l’Università di Pisa