È di questi giorni la notizia dell’ennesimo suicidio consumatosi in
carcere. Si tratta di una giovane detenuta nella casa circondariale di
Rebibbia. La donna si è uccisa nella sua cella con un cappio
rudimentale.
É il suicidio numero 39 che, all’interno di un istituto penitenziario, si
registra dall’inizio dell’anno. Numeri significativamente elevati, con
un suicidio in media ogni cinque giorni. A denunciarlo è Aldo Di
Giacomo, Segretario generale del Sindacato di Polizia penitenziaria.
L’ultimo rapporto sul tema curato da Antigone («Non devono
morire», TORNA IL CARCERE, rapporto XIII), che a sua volta ha
ripreso i dati raccolti da Ristretti Orizzonti con il dossier «Morire di
carcere», ha evidenziato che numeri simili non si raggiungevano da
oltre un decennio. Erano gli anni 2010 e 2011, caratterizzati da un
forte sovraffollamento carcerario, e che hanno portato poi a quello che
dai più è stato ribattezzato «Decreto svuota carceri», contenente
disposizioni tese a fornire una prima risposta al problema (D.L. 1°
luglio 2013, n° 78 conv. in L. 9 agosto 2013, n° 94).
Oggi i detenuti sono assai meno che allora, ma carenze e disagi
persistono, impattando con più o meno veemenza nei percorsi di
recupero dei detenuti.
Numeri così elevati impongono una riflessione generale, oltre che ad
una chiara e decisa presa di coscienza collettiva. Devono essere letti
come indicatori di malessere di un sistema che necessita di una
profonda rivoluzione, pur nella consapevolezza che ogni episodio di
suicidio ha una storia a sé, fatta di personali sofferenze e debolezze.
La natura strutturale – per non dire fisiologica – del fenomeno trova
una conferma dal confronto con quanto accade al di fuori degli istituti
penitenziari. Con lo 0,67 casi di suicidi ogni 10.000 abitanti, l’Italia è
considerato uno dei paesi europei con il più basso tasso di suicidi. I
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dati invece crescono, ed in modo esponenziale, se si guarda all’interno
degli istituti di pena.
Secondo gli ultimi dati raccolti dal Consiglio d’Europa nell’ambito del
monitoraggio «Space», l’Italia si colloca al decimo posto tra i paesi con
il più alto tasso di suicidi in carcere. All’interno degli istituti
penitenziari l’incidenza del suicidio è 16 volte più alta che fuori.
In particolare – sottolinea il Segretario generale – la sezione femminile
di Rebibbia, dove il sovraffollamento in cella alla data del 30 giugno
2022 toccava il 133%, si conferma uno degli ambienti carcerari con
maggiori problematiche.
Ad aggravare un quadro già estremamente complesso ha contribuito il
diffondersi della pandemia. Il dilagare del virus, se in generale ha
accentuato situazioni di disagio mentale, ha avuto e continua ad avere
ripercussioni ancora più significative nelle carceri dove – aggiunge Di
Giacomo – il personale deputato al sostegno psicologico e sanitario
conosce numeri estremamente esigui, impedendo di far fronte
all’assistenza ancor più necessaria negli ultimi anni.
Il Segretario fa presente come da tempo il Sindacato abbia proposto
l’istituzione di Sportelli di sostegno psicologico. Tale sollecitazioni
tuttavia non sono state debitamente raccolte, registrandosi sul punto
un significativo lassismo. L’unica Regione ad aver attivato – sia pure
solo di recente – un piano di prevenzione suicidi è la Regione
Lombardia.
Di Giacomo conclude «Uno Stato che non riesce a garantire la
sicurezza del personale e dei detenuti testimonia di aver rinunciato ai
suoi doveri civici» (In tal senso si veda L. FERRAJOLI, Principia juris.
Teoria del diritto e della democrazia. Vol. 1 Teoria del diritto, Bari, il
quale scrive «Uno Stato che nel punire non impedisce la morte del
condannato perde infatti parte delle funzioni che ne giustificano la
potestà punitiva»).
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Di seguito:
– «Non devono morire», TORNA IL CARCERE, XIII rapporto
Antigone
– «Morire di carcere»: dossier 2000-2022, Ristretti Orizzonti
– Council of Europe Annual Penal Statistics – SPACE II – 2021
A cura di Giulia Vagli