Il Tribunale di Sorveglianza di Firenze sulla concessione di benefici penitenziari in costanza di divieto ex art. 58-quater, co. 1, O.P. per la commissione di un delitto di evasione

Ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Firenze, emessa a seguito di istanza presentata dall’interessato a mezzo difensore avente a oggetto la concessione di misura alternativa alla detenzione in costanza di divieto ex art. 58-quater, co. 1, O.P.

Si commenta qui una recente ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Firenze, che, con estrema chiarezza espositiva, sembra definitivamente illustrare come nessun automatismo possa applicarsi nell’accesso ai benefici per i condannati sottoposti al regime di cui all’art. 58-quater co., 1 O.P.

La vicenda riguarda un detenuto in espiazione di pena che, sebbene definitivamente condannato per il reato ex art. 385 c.p. (e dunque in astratto rientrante nella prescrizione normativa di cui all’art. 58-quater co. 1, O.P.), viene ammesso al regime di semilibertà, che rientra nel novero delle misure alternative alla detenzione per le quali virtualmente opererebbe il divieto.

Sebbene il ragionamento del Tribunale di Sorveglianza si inserisca in un filone interpretativo già battuto dalla giurisprudenza tanto costituzionale che di legittimità, non sempre in sede di merito questo assunto risulta “pacifico”, tanto da scoraggiare condannati e difensori dal presentare istanze di ammissione ai benefici penitenziari in costanza di regime ex art. 58-quater1. Vale dunque la pena approfondire le argomentazioni del Tribunale, per riaffermare con forza come tale disposto normativo non debba tradursi in un automatismo privo di qualsivoglia apprezzamento discrezionale.

Nella materia dei benefici penitenziari, infatti, è criterio costituzionalmente vincolante quello che esclude rigidi automatismi e richiede sia resa possibile invece una valutazione individualizzata caso per caso (Corte cost., 22 luglio 1999, n. 346), posto che se si esclude radicalmente il ricorso a criteri individualizzanti, l’opzione repressiva finisce per relegare nell’ombra il profilo rieducativo (Corte cost., 4 luglio 2006, n. 257) e si instaura di conseguenza un automatismo in contrasto con i principi di proporzionalità ed individualizzazione della pena (Corte cost., 4 luglio 2006, n. 255). Proprio a partire da questo assunto, come è noto, la Consulta ha infatti dichiarato infondate le questioni di costituzionalità poste in riferimento alla preclusione medesima, ma solo ove venisse seguita l’interpretazione costituzionalmente conforme e adeguata cui sarebbe stato possibile pervenire già in via ermeneutica e senza incidere sull’attuale dizione normativa: una lettura che ammetta, testualmente, “la possibilità di valutare, caso per caso, con motivazione approfondita e rigorosa, la personalità e le condotte concrete del condannato responsabile del reato di cui all’art. 385 cod. pen.”, anche al fine di evitare lesioni ai diritti inviolabili della persona, il trattamento uguale in situazioni diverse, la vanificazione della funzione rieducativa della pena e la compromissione degli interessi di terzi, come ad esempio la famiglia (Corte cost., 28 maggio 2010, n. 189). Ne discende che, per espressa voluntas del Giudice delle Leggi, l’apprezzamento circa la meritevolezza di un beneficio penitenziario e – in specie – della misura alternativa del condannato ex art. 385 c.p. debba essere compiuta dal Magistrato caso per caso, tenendo conto di tutti gli elementi utili a valorizzare il profilo rieducativo della pena e il recupero del condannato, che sono sempre prevalenti.

Del resto, la stessa giurisprudenza di legittimità, pure richiamata dalla Corte costituzionale, con orientamento oramai granitico, ammette che l’art. 58-quater, co. 1 O.P. “non preclude automaticamente l’ammissione ad una misura alternativa alla detenzione in carcere a causa dell’intervenuta condanna per il reato previsto dall’art. 385 cod. pen., ma impone al giudice, in presenza di una condanna per questo titolo di reato, un’analisi particolarmente approfondita sulla personalità del condannato, sulla sua effettiva, perdurante pericolosità sociale alla luce delle condotte rilevanti ai sensi dell’art. 385 cod. pen., oggetto di accertamento definitivo, sui progressi trattamentali compiuti e il grado di rieducazione compiuto” (Cass. pen., sent. n. 22368/2009; conf. sentt. nn. 41956/2009 e 44669/2009).

Facendo proprie queste valutazioni proposte dalla difesa, il Tribunale di Sorveglianza di Firenze osserva che, seppure nel caso di specie “opererebbe […] il divieto di concessione di misure alternative posto dall’art. 58 quater O.P. per il termine triennale dalla commissione del delitto di evasione, termine che non è ancora decorso”, tuttavia, “occorre ricordare che a seguito della pronuncia di incostituzionalità di cui alla sentenza n. 173 del 1997 della Corte costituzionale, non è peraltro più consentito alcun automatismo tra la denuncia – e la condanna – per il reato di evasione commesso dal soggetto in espiazione pena in regime di arresti domiciliari e il ripristino della detenzione carceraria, dovendo il Tribunale di sorveglianza procedere a un’autonoma valutazione delle circostanze in cui l’allontanamento ingiustificato dall’abitazione è avvenuto, da compiersi nella prospettiva del percorso di risocializzazione intrapreso dal condannato, in conformità al principio affermato da questa Corte per cui la condanna per il delitto di cui all’art. 385 cod. pen. non è di per sè automaticamente preclusiva della possibilità di fruire dei benefici penitenziari, dovendo il giudice procedere a un esame approfondito della personalità del condannato e della sua effettiva, perdurante, pericolosità sociale, sulla sua effettiva e perdurante pericolosità sociale alla luce delle condotte oggetto di accertamento definitivo, sui progressi trattamentali compiuti e sul grado di rieducazione raggiunto (Sez. 1 n. 22368 del 6/05/2009). Ed infatti, l’ammissione a una misura alternativa alla detenzione in carcere di un soggetto nei cui confronti sia intervenuta condanna per il delitto di evasione, non può essere automaticamente preclusa per effetto della condanna stessa, dovendo il giudice procedere ad un esame approfondito della personalità del condannato e della sua effettiva e perdurante pericolosità sociale”.

Con ulteriore acume espositivo, venendo all’esame del caso sottoposto alla sua attenzione, il Tribunale poi prosegue affermando che, se si procede a una valutazione ponderata dell’incidenza della violazione “in relazione alle sue concrete modalità, consistite in un allontanamento di breve durata e a breve distanza dalla sua abitazione – sul giudizio di pericolosità del soggetto e sulla sopravvenuta incompatibilità della custodia domiciliare col percorso di risocializzazione, tanto più che lo stesso giudice della cognizione, in sede di applicazione della misura cautelare per il reato di cui all’art. 385 cod. pen., aveva ritenuto idonea a tutelare le esigenze di prevenzione l’obbligo di permanenza del ricorrente, in regime di arresti domiciliari ex art. 284 cod. proc. pen., nella stessa abitazione dalla quale si era allontanato”.

Si valorizza così un’idea di pena costituzionalmente orientata e basata sulla risocializzazione del condannato, accompagnata dai principi di proporzionalità e adeguatezza della misura. Lo scopo in senso lato risocializzante, infatti, deve essere perseguito non solo in sede di applicazione della legge penale, ma anche nella fase esecutiva. La ragione d’essere di tale principio è quella di costruire attorno al condannato le condizioni ottimali per un reinserimento dignitoso nella società, cercando di prevenire future inclinazioni alla commissione di nuovi reati. Tale fine può e deve essere attuato anche tramite la valutazione soggettiva della persona, tanto nella commisurazione della pena quanto nella concessione di benefici, senza cadere in meri automatismi preclusivi, i quali si porrebbero in netto contrasto con i criteri di ragionevolezza, uguaglianza e proporzionalità della pena stessa, impedendo altresì ogni possibilità di apprezzamento discrezionale da parte del Magistrato di Sorveglianza. È quindi evidente che, uscendo da tali logiche di sistema, verrebbe inevitabilmente intaccata ogni possibilità di progressione trattamentale in modo illogico, oltre che travolgere e collidere con quelli che sono i diritti fondamentali dell’uomo di cui il detenuto continua a godere; difatti la funzione di risocializzazione affidata alla pena rappresenta un imperativo che collide con la “prevalenza assoluta delle esigenze di prevenzione sociale su quelle di recupero del condannato” (così come sancito da granitica giurisprudenza, cfr. Corte cost., 21 giugno 2018, n. 149).

Inoltre, un tale automatismo andrebbe a ledere l’ulteriore e ben più radicato principio del nostro assetto giuridico-costituzionale, che vede nella separazione dei poteri e della discrezionalità affidata al prudente apprezzamento della Magistratura di Sorveglianza l’unico strumento idoneo a garantire una giusta ed equilibrata risposta ordinamentale in sede di esecuzione della pena inflitta. Sottrarre questa delicata valutazione all’apprezzamento dell’Organo ad essa naturalmente deputato è perciò un inammissibile sbilanciamento in favore dell’automatismo legislativo, che va a detrimento delle stesse esigenze di tutela della collettività. La ratio del sistema di misure alternative come si è oggi affermato, infatti, è quella di garantire a chi commette un reato il diritto al riesame sul protrarsi della pretesa punitiva, che discende – come è noto – direttamente dall’art. 27, co. 3 Cost. Occorre quindi che vi sia un organo giudiziario preposto ad accertare se la pena in corso di esecuzione abbia o meno assolto il proprio fine rieducativo e meriti in certa misura una rimodulazione (così, ex plurimis, Corte cost., 14 dicembre 1995, n. 95; Corte cost., 30 dicembre 1995, n. 97; Corte cost., 4 luglio 2006, n. 255; Corte cost., 4 luglio 2006, n. 257; Corte cost., 11 luglio 2018, n. 149).

È così evidente che la finalità rieducativa si compone di una fase statica, legata alla condanna inflitta nelle aule di giustizia e che tiene conto della personalità del reo pro ante; e di una fase dinamica e in divenire, che segue il detenuto nella fase esecutiva e nei traguardi che questi raggiunge quotidianamente. È proprio quest’ultima che determinerà il successo o meno del fine rieducativo.

Qui il testo dell’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Firenze.

 

Avv.ta Maria Giovanna Brancati

Dott.ssa Alessia Sanchez Quiroz

 


1Lo stesso Pubblico Ministero, in sede di udienza, insisteva per l’inammissibilità dell’istanza stante la vigenza del divieto ex art. 58-quater O.P.

 

Fonti:

  • Careceni L., “Preclusioni assolute ex art. 58-quater ord. pen. e detenzione domiciliare speciale: verso una nuova declaratoria di incostituzionalità?“, in Dir. pen. cont., 10/2018, disponibile su https://www.penalecontemporaneo.it/upload/4159-caraceni2018a.pdf
  • Stinchelli E., “La rieducazione del condannato: analisi delle finalità della pena nell’ordinamento penale e penitenziario italiano”, in DirittoConsenso, 22 ottobre 2021, disponibile su https://www.dirittoconsenso.it/2021/10/22/la-rieducazione-del-condannato/
  • Urbinati F., “L’imperativo costituzionale della rieducazione: un necessario intervento della Corte costituzionale sulla irragionevolezza degli sbarramenti ex art. 58-quater, comma 4, ord. penit.”, in Processo penale e giustizia, 6/2018, disponibile su http://www.processopenaleegiustizia.it/rieducazione-intervento-corte-costituzionale-ex-art-58-comma

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