Osservazioni della Prof.ssa Laura Cesaris in ordine alla sentenza della Corte costituzionale n. 30 del 2022

1. Con la sentenza n. 30 del 2022 la Corte costituzionale dichiara la illegittimità costituzionale dell’art. 47-quinquies ord. penit. nella parte in cui non prevede la concessione in via provvisoria della detenzione domiciliare speciale nelle ipotesi in cui sussista un grave pregiudizio per il minore derivante dal protrarsi dello stato detentivo del genitore. In tal modo la Corte aggiunge un’ulteriore tessera al mosaico degli istituti previsti dall’ordinamento penitenziario e diretti a tutelare il rapporto genitoriale e soprattutto contribuisce ad un’ulteriore omologazione delle due ipotesi di detenzione domiciliare −quella comune e quella speciale− sul piano della disciplina, come la stessa Corte ricorda, in tutti i casi in cui il «preminente interesse del minore non ammette(va) che restassero distinte».

L’istanza, sottoposta dalla difesa al magistrato di sorveglianza e da cui origina la questione di legittimità, riguardava la concessione della detenzione domiciliare speciale ad un detenuto padre di una figlia di età inferiore ad anni dieci, motivata dalla impossibilità della madre di provvedere alle cure della minore a causa delle proprie condizioni di salute nonché dalla assenza di altri familiari in grado di subentrare nelle cure parentali  (come richiede l’art. 47-quinquies comma7 ord. penit. per la concessione al padre).

Per evitare pregiudizi alla assistenza della minore il magistrato di sorveglianza riteneva necessario provvedere in via d’urgenza, ma questa soluzione non è prevista dall’art. 47-quinquies ord. penit., cui si deve fare riferimento in ragione della entità della pena residua gravante in capo al padre, e nessun rinvio è fatto alla disciplina contenuta nell’art. 47-ter comma 1-quater ord. penit., che invece regola espressamente l’ipotesi di concessione in via provvisoria della misura domiciliare ordinaria.

Il magistrato di  sorveglianza ha ritenuto di non poter ovviare alla  mancata previsione nell’art. 47-quinquies di soluzioni utili facendo ricorso alla  applicazione analogica dell’art. 47-ter comma 1-quater ord. penit., cosicché  la conseguenza sarebbe stata la declaratoria di inammissibilità dell’istanza presentata dai difensori. Ma questa soluzione, che comunque al magistrato di sorveglianza appare «corretta», come si legge nella ordinanza di rimessione, avrebbe determinato ad avviso dello stesso magistrato un «vulnus rilevante a diritti di prioritaria importanza», in primis all’interesse del minore a mantenere un rapporto continuativo con ciascuno dei genitori (come ha riconosciuto Corte cost. con la sentenza n. 187 del 2019), così che si configurerebbe una violazione dell’art. 30 Cost., che tutela i figli e prevede che si individuino modalità di assistenza, e  dell’art. 31 Cost., che tutela la famiglia e protegge l’infanzia, «favorendo gli istituti necessari a tale scopo» . 

In questa prospettiva la mancata applicazione provvisoria della misura domiciliare si pone in contrasto altresì con le raccomandazioni del Consiglio d’Europa a tutela del fanciullo, quale quella concernente “madri e bambini in carcere”  (Racc. n. 1469 del 2000), con la Convenzione europea del 25 gennaio 1996 sull’esercizio dei diritti dei fanciulli (ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003), e soprattutto  con  la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (del 20 novembre 1989, resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991), in cui si afferma che «in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente».

L’assenza nell’art. 47-quinquies ord. penit. di una disposizione che consenta l’adozione in via anticipata e provvisoria della misura domiciliare pare al magistrato di sorveglianza irragionevole, posto che un siffatto provvedimento è previsto in altre norme dell’ordinamento penitenziario (e non solo nell’art. 47-ter ord. penit.) a salvaguardia appunto di situazioni di fragilità ritenute meritevoli di tempestiva tutela. E ancora l’assenza di un siffatto meccanismo renderebbe l’esecuzione della pena “non umana”, dato che il genitore, che è a conoscenza della situazione del figlio, deve attendere la decisione del tribunale di sorveglianza, con tempi  non prevedibili  e con esito incerto.

 

2. Nel suo argomentare la Corte costituzionale innanzitutto sgombera il campo dalle eccezioni sollevate dalla Presidenza del Consiglio, secondo cui il magistrato di sorveglianza avrebbe dovuto verificare in concreto lo stato di salute della madre e la conseguente necessità del ruolo vicario del padre, chiarendo che non rileva l’«utilità concreta», dato che la sussistenza in astratto del potere cautelare si colloca in una fase logicamente anteriore a quella dell’esercizio di tale potere e degli accertamenti funzionali ad esso. Così come non rileva –precisa ancora la Corte – la circostanza che nelle more del giudizio la minore abbia compiuto dieci anni, stante l’orientamento consolidato di Cassazione secondo cui l’età inferiore a dieci anni deve ricorrere al momento del deposito della richiesta, non a quello della decisione, e che il tribunale di sorveglianza abbia respinto la richiesta di ammissione alla misura. Al riguardo i giudici costituzionali ricordano che il giudizio incidentale di legittimità non è condizionato dalle vicende di fatto successive all’ordinanza di rimessione, così che, rimosse queste eccezioni (definite prive di fondamento) la Corte passa a delimitare l’ambito delle questioni sollevate, che non riguardano l’intera disciplina dell’art. 47-quinquies ord. penit. ma solo quei commi (1 e 7) che attengono ai requisiti dettati per la concessione della misura alla madre e in via sostitutiva al padre, e il comma (3) relativo alle competenze attribuite al tribunale di sorveglianza  e al magistrato di  sorveglianza.

Così circoscritta la questione, la Corte delimita i parametri costituzionali ritenendo fondata la questione solo in relazione all’art. 31 Cost. in tal modo sottolineando il ruolo svolto dalla misura.

La detenzione domiciliare speciale, disciplinata nell’art. 47-quinquies ord.penit., è strumento specificamente volto alla tutela del rapporto genitore- figlio anche nelle ipotesi in cui il genitore sia stato condannato ad una pena superiore a 4 anni, che è il limite invece previsto per la concessione della detenzione domiciliare ordinaria. Proprio in questo sta la specialità della misura, nell’essere  cioè fruibile in presenza di livelli edittali anche elevati, così da risultare senza dubbio la misura più favorevole, consentendo una esecuzione extracarceraria, come si deduce dalla previsione del comma 1- bis, che permette di scontare anche il terzo di pena (o 15 anni in caso di condanna all’ergastolo) necessario per l’ammissione presso un istituto a custodia attenuata o presso la propria abitazione, se non sussiste in concreto il pericolo di commissione di ulteriori delitti o il pericolo di fuga. La misura domiciliare può essere concessa anche al padre, essendo estesa l’operatività «alle stesse condizioni previste per la madre» se questa è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre» (art. 47-quinquies comma 7 ord. penit.).

Senonché la disciplina di maggior favore espressa nell’art. 47-quinquies in realtà non risulta tale qualora si debba ricorrere alla misura in via di urgenza, posto che non è contemplata la possibilità di applicazione provvisoria e anticipata del beneficio in attesa della decisione del tribunale di  sorveglianza, come è invece previsto in caso di richiesta di detenzione domiciliare comune nell’art. 47-ter comma 1-quater ord. penit. quando si profili «un grave pregiudizio derivante dalla protrazione della misura».

A ben vedere il legislatore ha omesso nell’art. 47-quinquies ord.penit. qualunque indicazione in merito all’iter procedimentale e neppure ha operato un rinvio alla disciplina contenuta nell’art. 47-ter ord. penit. concernente la detenzione domiciliare comune.  Solo nell’art. 8 della legge n.40 del 2001, la quale ha introdotto nell’ordinamento penitenziario l’art. 47-quinquies, è estesa la competenza del tribunale di sorveglianza in ordine alla concessione e alla revoca della nuova misura “speciale”.

Per quanto riguarda il modello procedimentale si applica la disciplina risultante dagli artt. 666 e 678 c.p.p., ma -come si è appena ricordato- nessun riferimento è espresso nell’art. 47-quinquies alla concedibilità in via provvisoria della misura.  

L’assenza di rinvii alla disciplina contenuta nell’art. 47-ter ord.penit. e, in particolare, al potere del magistrato di sorveglianza di adottare in via provvisoria e urgente un provvedimento a tutela della prole rappresenta un indubbio ostacolo alla applicazione diretta della disposizione espressa nell’art. 47-ter. E questa lacuna risulta ancora più anomala e soprattutto stridente con le finalità umanitarie che caratterizzano la detenzione domiciliare speciale, specie ove si ricordi che l’applicazione anticipata e provvisoria, introdotta con l. n. 165 del 1998 in relazione alle ipotesi umanitarie descritte nel comma 1 e a quella di  detenzione “biennale” di cui al comma 1-bis, è stata via via estesa dal d.l. n. 78 del 2013 conv. l. n. 94 del 2013 alle altre ipotesi disciplinate nell’art. 47-ter  ord. penit. nei commi 01 e 1-ter.

Proprio questo provvedimento normativo ben evidenzia l’intento di salvaguardare situazioni che potrebbero subire un aggravamento a causa di un mancato tempestivo intervento del giudice, non rilevando la gravità della pena e dei reati commessi .

Come già si è ricordato, la previsione di un intervento provvisorio ad opera del magistrato di sorveglianza non figura nell’art. 47-quinquies e nessun richiamo in quest’ultima norma viene operato all’art. 47-ter, privando di tutela la prole nei casi in cui l’attesa della decisione del tribunale di  sorveglianza pregiudicherebbe la situazione della prole stessa.

Una tale omissione non appare giustificata ove si ricordi che identica è la finalità perseguita dalle due ipotesi di detenzione domiciliare, tanto che la Corte costituzionale ne ha assimilato la disciplina sotto vari profili proprio per valorizzare la tutela offerta al minore (Corte cost. n.  211 del 2018 e n. 177 del 2009).

Non solo: il silenzio risulta ancora più grave e incomprensibile ove si rifletta sul fatto che l’art. 47-ter ord. penit. consente la fruizione della misura in via anticipata a tutela di  situazioni o di condizioni che riguardano per lo più il condannato medesimo,  ad es. l’ultrasettantenne o la persona in condizioni di salute che richiedono costanti contatti con strutture sanitarie territoriali, mentre l’art. 47-quinquies  è volto a salvaguardare un soggetto terzo, estraneo, il figlio, che non deve subire pregiudizi dalla detenzione del genitore, come ha ricordato la Corte costituzionale in varie occasioni (Corte cost . n. 211 del 2018  e n. 189 del 2010).

La Corte, dunque, facendo perno sul dettato dell’art. 31 Cost., ritiene non giustificata la diversa disciplina accolta nell’art. 47-quinquies ord. penit., che va a detrimento dell’assistenza al minore proprio nei casi in cui questa richiederebbe tempi rapidi di intervento, che non sono invece assicurati dal procedimento davanti al tribunale di  sorveglianza. E si noti che nessuna differenza tra madre e padre viene operata dalla Corte, che usa l’espressione “genitore”, riferendosi indifferentemente all’una o all’altro ed evidenziando così che non rileva da chi sia prestata l’assistenza ma il momento.  La tutela in via provvisoria non subisce trattamenti diversificati. Anche se non sfugge che nella stragrande maggioranza dei casi a beneficiare della misura sarà la madre, che è soggetto privilegiato nel sistema penitenziario a tutto discapito della figura paterna.

Stupisce che la Corte abbia fondato la decisione solo sull’art. 31 Cost., che attribuisce alla Repubblica il compito di agevolare la formazione della famiglia e l’adempimento dei relativi compiti, nonché di proteggere la maternità l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo, e non anche sull’art.30 Cost., che attribuisce ai genitori il «dovere e il diritto di mantenere istruire ed educare i figli», dato che, volendo ribadire l’importanza del ruolo genitoriale, sarebbe stato più pertinente ed efficace il rinvio appunto all’art. 30 Cost.

E peraltro non sfugge come i giudici costituzionali abbiano fatto ricorso ad un iter argomentativo piuttosto snello con meri richiami e rinvii a decisioni precedenti concernenti la detenzione domiciliare, e alle «disposizioni internazionali sovranazionali che arricchiscono e completano il significato» dell’art. 31 Cost., mentre non hanno  preso in considerazione le altre norme costituzionali sulle quali il giudice remittente aveva fondato l’ordinanza di rimessione.

Merita poi osservare che la Corte incentra il suo argomentare sulla considerazione che «l’intervento cautelare del magistrato di sorveglianza non possa prescindere dall’espiazione intramuraria della quota preliminare» richiesta in generale per l’ammissione alla misura e che la decisione, benché fondata su una valutazione sommaria, è bilanciata dall’osservazione del detenuto condotta proprio durante il periodo di sottoposizione ad esecuzione di pena. Così che dunque non trova giustificazione il sacrificio dell’interesse del minore a ricevere le cure parentali fondato su ragioni di tutela della collettività.

Si noti, tuttavia, che i giudici costituzionali, pur escludendo che ragioni di difesa sociale possano incidere in astratto sulla concessione della misura, ritornano su tali ragioni ricordando la possibilità per il magistrato di sorveglianza di revocare la misura provvisoriamente adottata, qualora sopravvengano fattori negativi. In realtà dunque, pur ribadendo che la misura risponde a finalità di tutela della prole, attribuiscono rilevanza alle esigenze di salvaguardia della collettività, confermando così quell’orientamento accolto in sentenze precedenti ( si legga Corte cost. n. 174 del 2018) nelle quali l’interesse del minore non viene più definito “superiore”, bensì “migliore”, e suggerendo dunque una valutazione comparata dei diversi valori  in gioco. E ciò quasi a rassicurare l’opinione pubblica e nel contempo a richiamare la magistratura di sorveglianza a una verifica concreta e ponderata delle esigenze del minore e delle istanze di difesa sociale, e conseguentemente a un costante e continuo controllo sulla esecuzione della misura concessa, con una attenzione particolare all’interesse del minore, che può essere tutelato anche mediante l’adozione nei confronti del genitore di mezzi di controllo elettronici, secondo quanto previsto dall’art. 58-quinquies ord. penit.

Proprio il richiamo a tali forme di controllo, che si aggiungono alle prescrizioni che sono di norma disposte in caso di concessione della misura domiciliare, evidenzia come ad avviso della Consulta la magistratura di sorveglianza debba comunque sempre ricercare la soluzione che meglio persegua l’interesse del minore. Interesse enfaticamente definito “stella polare” delle valutazioni del giudice.

Al riguardo si può osservare che, ad avviso della Corte, l’interesse “migliore” del minore parrebbe identificarsi nel ricongiungimento con il genitore e nel mantenimento del rapporto genitoriale. La decisione in esame mira a contribuire al raggiungimento di questo obiettivo integrando la disciplina procedimentale e in tal modo rimuovendo un ostacolo alla applicazione in via anticipata della detenzione domiciliare speciale.

Spetterà poi alla magistratura di sorveglianza verificare in concreto la sussistenza dei requisiti previsti dall’art. 47-quinquies ord.penit. e procedere ad una reale effettiva valutazione della situazione del minore, ad una comparazione delle soluzioni che tutelino il suo interesse e la concedibilità del beneficio.

 

Laura Cesaris

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