Il beneficio della liberazione condizionale, antesignano delle moderne misure alternative alla detenzione, rinviene la propria disciplina, in ambito minorile, nell’art. 21, r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404. La norma è ancora attuale in quanto mai abrogata né confluita nel nuovo ordinamento penitenziario minorile, nonostante tale operazione fosse auspicabile quantomeno per evitare un’eccessiva frammentarietà della materia. Tuttavia, il rinvio all’art. 176 c.p. è stato accompagnato dalla previsione di condizioni certamente più favorevoli rispetto ai condannati maggiorenni, indice di una già maturata sensibilità per la peculiare situazione del minore deviante. In particolare, salvo il presupposto del “sicuro ravvedimento”, applicabile sia ai minori che ai maggiorenni, la misura non incontra preclusioni né in ordine alla durata della pena da espiare né al momento in cui poterla richiedere.
Certo è che anche il concetto di “sicuro ravvedimento”, ossia quell’insieme di comportamenti tenuti dal soggetto durante il periodo detentivo, tali da dimostrare, anche alla luce del percorso rieducativo intrapreso, l’elaborazione critica delle passate scelte e la volontà futura di conformarsi alla legge (cfr. Cass. pen., sez. I, 23 marzo 2021, n. 19818), deve essere valutato alla luce delle condizioni in cui versa un soggetto in formazione.
È, perciò, interessante il provvedimento con cui il Tribunale per i minorenni di Catania ha ammesso alla liberazione condizionale un giovane condannato, valorizzandone il suo fermo desiderio di riabilitazione. I comportamenti tenuti dal ragazzo durante il periodo di detenzione, secondo il Tribunale, sono simbolo della chiara volontà di abbandonare i modelli di riferimento che lo hanno portato a delinquere.
Nel dettaglio, durante sei anni di detenzione, il Tribunale registra che egli ha tenuto un comportamento sempre regolare, aperto al dialogo e alla partecipazione alle attività trattamentali. Inizialmente collocato presso strutture carcerarie per adulti, è col passaggio al circuito minorile che è riuscito ad avviare un serio percorso di rivisitazione critica dei delitti commessi, prendendo coscienza della loro gravità e accettando così la risposta giudiziaria. In particolare, egli ha riflettuto sulle sofferenze causate alle vittime dei suoi agiti, riuscendo, preso atto dell’irreparabilità di tali condotte, a dare un senso alla detenzione prendendo parte a tutte le attività di giustizia riparativa organizzate dall’area educativa.
Tale percorso di crescita è stato favorito dalla positiva partecipazione ad un percorso di psicoterapia individuale, finalizzato a comprendere le proprie emozioni per meglio controllarle, dallo svolgimento di attività lavorativa e sociale, sia all’interno dell’istituto che all’esterno, anche a carattere volontaristico, e dalla frequenza scolastica. In quest’ultima sede, egli ha dato prova di affidabilità negli spostamenti e nello studio, anche nel periodo di emergenza sanitaria, e la costanza nel proseguire il cammino intrapreso gli ha permesso di ottenere sempre buone valutazioni in tutte le materie, con conseguente promozione alla classe successiva al termine di ogni anno scolastico. La serietà che lo ha contraddistinto gli ha permesso di ricevere anche un’offerta lavorativa stabile da parte del titolare di un panificio, con cui aveva collaborato nel periodo estivo.
Questi elementi sono necessari e sufficienti, secondo il T.M. di Catania, per ritenere sicuro il ravvedimento del ragazzo, permettendo di reputare certa sia la revisione critica delle proprie condotte sia la volontà di prendere le distanze dai comportamenti che hanno segnato il suo passato.
Fondamentali, dunque, e sussumibili quali parametri generali sono lo svolgimento di attività sociale e di formazione lavorativa, la partecipazione a percorsi di istruzione scolastica e di giustizia riparativa, nonché a percorsi psicologici, psichiatrici o psicoterapici, se necessari e a seconda dei bisogni del singolo. Tali attività danno linfa al programma trattamentale riempiendolo di contenuti calibrati sul singolo individuo. È, pertanto l’adesione ad essi, quale presupposto per l’accesso alla liberazione condizionale, essenziale per favorire quella responsabilizzazione, educazione, sviluppo psicofisico, preparazione alla vita libera e inclusione sociale, che l’esecuzione penale minorile mira a favorire a norma dell’art. 1, c. 2, d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 121.
Di seguito il provvedimento in commento.
A cura di Paola Bonora