Inserendosi nei solchi tracciati sia dalla sentenza n. 186/2018 della Corte costituzionale, nella quale era stata dichiarata l’illegittimità del divieto di cuocere cibi per i detenuti assoggettati al regime di cui all’ art 41 bis Ord. Pen, sia dalla statuizione n.33917/2021 della Cassazione (il cui testo commentato è reperibile al seguente link: Cass. Pen., Sez. I, sent. 15 luglio 2021, n. 33917: cottura e acquisto di generi alimentari nel regime del carcere duro – Osservatorio sull’esecuzione penale (unipi.it)), la Sezione I della Suprema Corte è tornata a pronunciarsi su questioni attinenti alle abitudini alimentari di questa categoria di detenuti.
Nel fornire la motivazione in ordine alla sussistenza in capo ai suddetti detenuti del diritto di acquistare generi alimentari suscettibili di cottura, la sentenza ha il merito di tracciare dettagliatamente il contorno dell’istituto di cui all’art 41 bis Ord. Pen, precisandone fondamento e limiti.
La Cassazione sostiene infatti come tale norma configuri “il contenuto del regime differenziato in termini di sospensione totale o parziale, nei confronti di determinati detenuti, dell’applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dall’ordinamento penitenziario che possano porsi in contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza”.
La Corte, rileva pertanto come, nel caso concreto, essendo l’istituto ex art 41 bis Ord. Pen volto a garantire, come detto, ordine e sicurezza, il divieto di acquistare determinati cibi, non potendosi considerare funzionale a dette finalità, debba essere ritenuto ingiustificato.
Alla luce di tale considerazione il Supremo Collegio specifica altresì come l’argomentazione circa la finalità – perseguita dalla previsione di una lista di prodotti alimentari più contenuta rispetto a quella destinata ai detenuti ordinari – di prevenzione del rischio che all’interno delle sezioni del circuito differenziato si possano manifestare, anche attraverso il possesso di determinati generi alimentari, posizioni affermative di uno status da parte dei detenuti più facoltosi, non sia fondata, ma al contrario appaia inutile ed immotivamente vessatoria rispetto alle ordinarie regole.
Di seguito la sentenza:
Niccolò Domenici