OGGETTO: Misure alternative alla detenzione – Espulsione dello straniero ex art. 16 d.lgs. n. 286 del 1998 – Condannato illegittimamente rientrato in Italia – Esclusione – Accoglimento parziale.
Preliminarmente, prima di approcciarci alla questione che rappresenta il nocciolo duro della sentenza in oggetto, giova esplicare l’istituto protagonista di tale pronuncia.
Il nostro ordinamento prevede la possibilità di disporre nei confronti del detenuto straniero compiutamente identificato, che si trovi in stato di detenzione per espiare una pena detentiva, anche residua, non superiore ai due anni e in taluna delle situazioni indicate nell’articolo 13, comma 2 (espulsione amministrativa) del D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 “Testo unico sull’immigrazione”, l’espulsione come misura alternativa alla detenzione, accompagnata dal divieto di reingresso per un periodo non inferiore a dieci anni. Ovviamente tale decisione viene disposta dall’Autorità Giudiziale, la misura è immediata e viene adottata anche con la sentenza non definitiva; essa viene disposta in occasione di una condanna per un reato non colposo oppure in occasione di una sentenza patteggiata, quando il Giudice ritenga di applicare una pena detentiva entro il limite di due anni e non vi siano i presupposti per concedere la sospensione condizionale della pena.
Giova altresì sottolineare che, tale sanzione sostitutiva della pena non può essere disposta nel caso in cui non sia possibile eseguire immediatamente l’espulsione (a titolo esemplificativo ma non esaustivo: prestazioni di soccorso allo straniero, accertamenti supplementari sulla sua identità o nazionalità, mancanza dei documenti per il viaggio o mancanza di un vettore o altro mezzo di trasporto idoneo).
Esaurite tali preliminari premesse, la Cass.Pen. Sez. I., attraverso la sent. n. 38926/2021, è entrata nel merito di una questione molto peculiare, stabilendo la non reiterabilità dell’espulsione dello straniero condannato, allorquando il medesimo abbia fatto illegittimamente rientro nel territorio dello Stato prima del decorso dei dieci anni dall’esecuzione del provvedimento, poiché, in tal caso, si va a ripristinare lo stato di detenzione del medesimo ai fini dell’esecuzione della residua pena espianda in relazione proprio alla condanna titolo per la quale l’espulsione stessa era stata disposta.
In motivazione la Corte ha osservato che, diversamente opinando, il trasgressore potrebbe giovarsi dell’espulsione tendenzialmente all’infinito, così da pregiudicare l’effetto deterrente del rispristino della carcerazione, interrotta per l’espulsione, oltre che il raggiungimento dello scopo deflattivo della popolazione carceraria.
Qui il testo della sentenza.
A cura di Alessia Sanchez Quiroz