Il rapporto tra l’ordinanza di custodia cautelare in carcere e il colloquio con il difensore. Non si configura la nullità dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere in caso di mancato colloquio tra il difensore e il detenuto per gli ostacoli interposti da un operatore penitenziario.
La questione posta all’attenzione della Suprema Corte prende le mosse dal provvedimento con cui il Tribunale per il riesame di Torino confermava l’ordinanza emessa dal G.I.P. del medesimo Tribunale, con la quale veniva applicata la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti del ricorrente per i delitti di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/1990 e all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990, avendo fatto parte di una associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti e, quindi, detenuto ingenti quantitativi di sostanza del tipo hashish.
Ebbene, avverso il suddetto provvedimento proponeva ricorso il difensore del ricorrente, richiedendone l’annullamento per plurimi motivi e deducendo, in primis, la nullità del giudizio del riesame ex art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p. per violazione dell’art. 104 c.p.c., in materia di colloqui del difensore con l’imputato in custodia cautelare.
Specificamente, tale violazione veniva ancorata al diniego nei confronti del difensore di accedere, per i primi 14 giorni dall’esecuzione della misura, all’istituto penitenziario ove l’assistito era custodito.
A supporto probatorio di tale asserzione, vi era la registrazione di una conversazione telefonica tra il predetto difensore ed un operatore penitenziario dalla quale emergeva che il diniego di accesso era stato motivato dal pericolo di diffusione del Covid-19.
E poiché la richiesta di riesame non era stata proceduta da un colloquio tra il difensore e l’imputato, la violazione del diritto di difesa – protrattasi oltre lo svolgimento dell’interrogatorio di garanzia sino alla scadenza dei termini per la proposizione della richiesta di riesame – era tale da determinare non soltanto la nullità dell’interrogatorio di garanzia, ma anche la nullità del giudizio di riesame.
La Suprema Corte di Cassazione, dinanzi a quanto contestato, ha ritenuto inammissibile il ricorso proposto per genericità e manifesta infondatezza dei diversi motivi dedotti.
Nel merito, rispetto al motivo di cui sopra, è stata rilevata l’assenza della prova del denegato accesso in carcere, attesa la mancata documentazione relativa alla richiesta di colloquio con il detenuto e, quindi, il provvedimento di rigetto da parte della Direzione della Casa Circondariale.
Invero, a parere del giudicante, è del tutto irrilevante il mero riferimento ad un file audio concernente la conversazione telefonica intercorsa tra il difensore ed un presunto operatore penitenziario, non potendo ad essa attribuirsi valore probatorio. Difatti, in tal caso, a riscontro di quanto asserito, l’attività difensiva richiesta – e quindi doverosa – attiene alla presentazione di atti scritti alle competenti autorità dell’amministrazione penitenziaria.
Purtuttavia, prescindendo dall’irritualità di tale allegazione, viene rilevato che, ai sensi dell’art. 104 c.p.p., spetta unicamente all’Autorità Giudiziaria disporre il differimento dell’esercizio del diritto di colloquio con il difensore dell’indagato in stato di arresto o in custodia cautelare. Consequenzialmente, solo nel caso di un immotivato diniego da parte della stessa verrà a configurarsi una compromissione del diritto di difesa determinante l’invalidità degli atti giudiziari compromessi da tale violazione.
Diversamente, gli ostacoli ingiustificati promossi da singoli operatori penitenziari per lo svolgimento di tali colloqui non possono incidere sulla legittimità dell’attività giudiziaria, non trattandosi di violazioni di diritti di difesa dipendenti da provvedimenti giudiziari illegittimi. Sarà, in tal caso, onere del difensore denunciare tali violazioni alla direzione della Casa Circondariale interessata.
Appare, quindi, di tutta evidenza, la manifesta infondatezza della nullità dedotta, frutto di confusione tra la patologia degli atti del procedimento penale e la tutela dei diritti del detenuto che resta affidata all’amministrazione penitenziaria.
In conclusione, tale decisione è riassumibile nella seguente massima: “Non è configurabile la nullità dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere per il mancato svolgimento del colloquio del detenuto con il difensore per gli ostacoli frapposti da un operatore penitenziario – nella specie correlati ad esigenze sanitarie da Covid-19 – in quanto tali condotte, pur potendo essere denunciate alla direzione della Casa Circondariale, non determinano la violazione dei diritti della difesa, configurabile solo nel caso in cui il colloquio sia stato ingiustificatamente negato dall’autorità giudiziaria in seguito ad espressa richiesta difensiva”.
Qui il testo della sentenza.
A cura di Arianna Stefani