Liberazione anticipata: imprescindibile la prova di un’effettiva rieducazione

Il Tribunale di Sorveglianza per i Minorenni di Catania, con tre diversi provvedimenti, chiarisce come il raggiungimento della prova di un’effettiva partecipazione all’opera di rieducazione sia requisito necessario per far sì che il minore detenuto possa accedere alla liberazione anticipata ai sensi dell’art. 54 della legge 26 luglio 1975, n° 354.

In particolare il Tribunale chiarisce che il comportamento intramurario, valutato semestre per semestre a norma dell’art. 54 cit., non sia l’unico parametro di meritevolezza dello sconto di pena richiesto, dovendosi valutare complessivamente il contegno del condannato per accertare se vi sia stata una concreta evoluzione della sua personalità tale da reputare come effettivo il ri-orientamento rispetto ai valori socialmente condivisi e che egli ha offeso.

Circa l’opportunità di procedere ad un’analisi unitaria della condotta si registra costante giurisprudenza di legittimità. Precisamente si legge che «nella valutazione…deve tenersi conto, in particolare, del comportamento intramurario, ma non esclusivamente di esso; pertanto, quando risulti da circostanze oggettive e di sicura pregnanza, seppure esterne alla condotta penitenziaria, che la partecipazione all’opera rieducativa non vi è stata, il beneficio deve essere escluso senza necessità di procedere all’esame del comportamento frazionato per semestre» (Cass. pen. Sez. I, 9 marzo 2012, n° 11513). Ancora in tema di liberazione anticipata la giurisprudenza di legittimità ricorda che «il principio della valutazione frazionata per semestri del comportamento del condannato ai fini della concessione del beneficio non esclude che una trasgressione possa riflettersi negativamente anche sul giudizio relativo ai semestri antecedenti o su quelli successivi, purché si tratti di una violazione che manifesti l’assenza di effetti positivi dell’opera di rieducazione sul detenuto» (Cass. Pen. Sez. I, 12 gennaio 2016, n° 24449. In senso conforme Cass. Pen. Sez. I, 28 febbraio 2013, n° 11597; Cass. Pen. Sez. I, 7 novembre, n° 3092 e Cass. Pen. Sez. I, 13 gennaio 2015, n° 3358).

Il primo caso, portato di recente all’attenzione del Tribunale di sorveglianza di Catania, ha visto come protagonista un minore recluso per aver commesso più reati legati ad una consistente attività illecita di spaccio di sostanze stupefacenti. Il Tribunale – nel confermare l’ordinanza del Magistrato di sorveglianza con la quale ha rigettato la richiesta volta all’ottenimento della concessione della liberazione anticipata – fa notare come non risulti ancora del tutto cessato il comportamento negativo del detenuto e soprattutto l’assenza di un serio e sicuro ravvedimento.

Precisamente, il minorenne è stato sorpreso, durante l’esecuzione della misura alternativa dell’affidamento in prova al Servizio Sociale, nella commissione di delitti della stessa specie di quelli per il quali stava scontando la pena, così ledendo la fiducia che l’ordinamento aveva riposto nella sua persona.

Ancora il detenuto è risultato – al momento del reingresso in carcere per sospensione cautelativa della misura alternativa – positivo al drug test con accertamento di abuso di marijuana e di cocaina. Non solo. Il minorenne ha continuato a far uso di cannabinoidi all’interno dell’istituto penale minorile, occultando la droga in altra cella rispetto a quella ove alloggiava negandone l’utilizzo nonostante l’evidenza dei risultati dei test.

Il persistente consumo di sostanze stupefacenti è senza dubbio decisivo per escludere che nel minore sia maturata un’effettiva distanza critica dallo stile di vita deviante sfociato nella commissione dei reati la cui pena è in esecuzione. Considerato infatti che la detenzione è collegata a reati connessi all’uso e al lucro illecito sulla compravendita di sostanze stupefacenti, risultava estremamente rilevante la dimostrazione di averne cessato l’uso. Ancora, continua il Tribunale, la ricaduta è un dato oggettivo, che non può essere in alcun modo ridimensionato dallo stato soggettivo di stress per la «difficile e multi-problematica situazione familiare».

Negli stessi termini si è espresso il suddetto Tribunale in merito a diversa istanza, ma pur sempre  volta all’ottenimento della concessione del beneficio della liberazione anticipata. Nelle motivazioni si legge che il giovane, pur avendo preso parte alle attività trattamentali a lui prescritte, non ha dato prova di un’attiva partecipazione all’opera di rieducazione. La «partecipazione», precisano i giudici minorili, non deve intendersi come passiva e disciplinata osservanza delle attività rientranti nel programma predisposto o nella mera condotta regolare, bensì deve tradursi in una collaborazione attiva, psichica ed interiore, del condannato.

Quanto scritto si evince anche dalle motivazioni di un ulteriore provvedimento adottato dal Tribunale catanese. Il Collegio ricorda infatti che il beneficio della liberazione anticipata implica la prova della piena partecipazione del condannato all’opera di rieducazione, requisito ben più pregnante di quello della mera regolarità della condotta.

Nel caso di specie, il minore si trovava in stato di detenzione a seguito dell’accertamento di reiterata violenza sessuale di gruppo ai danni di un ragazzino quattordicenne, ospite della medesima comunità nel quale si trovava. A ciò si aggiungeva l’accertamento di una condotta persecutoria ai danni di altro minorenne.

La gravità della complessiva condotta avrebbe richiesto – al fine di ottenere il beneficio – un’attiva opera di revisione che non è però risultata in alcun modo raggiunta. Il minore, infatti, si è reso successivamente responsabile di altro reato di analogo tipo. Al giovane è stato contestato di aver aggredito all’interno della struttura carceraria un’operatrice volontaria. Rispetto a tale episodio egli ha sminuito l’accaduto, dimostrando di non aver preso contezza della gravità del fatto e delle implicazioni dello stesso rispetto alla sua già compromessa situazione. A fronte di un quadro così estremamente complesso, il Tribunale ritiene non sufficienti, ai fini della concessione dello sconto di pena, gli sporadici e deboli elementi positivi attinenti alla condotta carceraria, vale a dire l’impegno profuso per il conseguimento della licenza media ed il desiderio di svolgere attività costruttive. Né può ritenersi bastevole quanto riportato nell’ultima relazione redatta dagli operatori dell’I.P.M. in relazione ad «una lieve apertura, seppur ancora in una fase iniziale, a soffermarsi su quanto commesso nel confronto con figure adulte di riferimento».

In ogni caso, prosegue il Collegio, detti elementi sono già stati opportunamente valorizzati, nel doveroso perseguimento della finalità educativa della pena (ribadita dal d.lgs. 2 ottobre 2018, n° 121, rubricato Disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni, in attuazione della delega di cui  all’articolo 1, commi 81, 83 e 85, lettera p), della legge 23 giugno 2017, n. 103), traducendosi nell’autorizzazione a frequentare attività di formazione professionale all’esterno dell’istituto.

La giurisprudenza del Tribunale di Sorveglianza per i Minorenni di Catania così ribadisce come il raggiungimento della prova di partecipazione all’opera di rieducazione, commisurata ai reati a monte della condotta, sia requisito necessario per far sì che il detenuto minorenne possa ottenere il vantaggio di rientrare anticipatamente – rispetto al fine pena – nella società i cui valori ha dimostrato di disconoscere.

 

A cura di Giulia Vagli

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