L’art. 275, co. 2, c.p.p. trova applicazione sia in fase di irrogazione della misura, sia nel corso della sua esecuzione.
La giurisprudenza di legittimità si è pronunciata, affermando che “in materia di misure cautelari personali, il limite di tre anni di pena detentiva necessario per l’applicazione della custodia in carcere, previsto dall’art. 275 c.p.p., comma 2-bis, opera non solo nella fase di applicazione, ma anche nel corso dell’esecuzione della misura, sicché la misura non può essere mantenuta qualora sopravvenga una sentenza di condanna, quantunque non definitiva, a pena inferiore al suddetto limite; in motivazione, la Corte ha precisato che i principi di proporzionalità ed adeguatezza devono essere costantemente verificati, al fine di attuare la minor compressione possibile della libertà personale, non potendo prevalere le valutazioni compiute in fase cautelar rispetto alla pronuncia adottata in fase di merito” (Cass., Sez. F., n. 26542 del 13/08/2020, Rv. 279632).
Pertanto, per la più recente interpretazione della Suprema Corte di Cassazione, non può essere mantenuta la custodia cautelare in carcere, ove sia stata irrogata una pena inferiore a tre anni di reclusione, occorrendo poi analizzare la condizione negativa contenuta nell’ultima parte dell’art. 275, co. 2-bis, c.p.p. Il suddetto divieto, per espresso richiamo della norma, non si applica quando si procede per determinati reati di cui all’art. 4-bis Ord. Pen. e anche quando non sussistano i presupposti per l’applicazione della misura degli arresti domiciliari.
Secondo l’interpretazione del combinato disposto degli artt. 275, co. 2-bis, c.p.p. e 4-bis Ord. Pen., il divieto di applicazione e mantenimento della custodia cautelare in carcere opera per la rapina aggravata, qualora sia intervenuta una condanna inferiore a tre anni e quando non vi siano elementi tali da fare ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva. In generale, è onere dell’istante provare la sussistenza dei presupposti per l’operatività del divieto. Tale prova, tuttavia, in taluni casi può ritenersi implicita: il riferimento è a quei fatti di rapina che, per le loro modalità esecutive, per la personalità degli autori, per la natura dei beni sottratti, per l’assenza di armi o altri oggetti atti a offendere, siano dimostrativi ex se dell’assenza di collegamenti con la criminalità organizzata.
Il giudice del procedimento cautelare, per valutare l’operatività del divieto di mantenimento della custodia in carcere per soggetti condannati per il reato di rapina aggravata a pena inferiore a tre anni, è tenuto a esaminare gli elementi che, ove dimostrativi dell’assenza di qualsiasi collegamento con il crimine organizzato, determinano l’operatività del divieto di cui all’art. 275, co. 2-bis, c.p.p., non essendo giustificata la prosecuzione della custodia cautelare in carcere nei confronti di soggetti, ai quali sia stata irrogata una pena lieve e ai quali potranno anche essere concessi i benefici penitenziari.
Può applicarsi, in ogni caso, l’ultima parte dell’art. 275, co. 2-bis, c.p.p., che giustifica l’applicazione della custodia cautelare in carcere in assenza di luoghi idonei per impartire la misura degli arresti domiciliari.
Qui il testo della sentenza.
A cura di Beatrice Paoletti