L’ordinanza in commento riguarda un procedimento che trae origine da un reclamo proposto dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria avverso ordinanza emessa dal Magistrato di Sorveglianza di L’Aquila e datata 3.3.2021; in tal sede, l’organo monocratico, all’esito di reclamo presentato da un detenuto ristretto in regime ex art. 41 bis presso la Casa Circondariale dell’Aquila, accoglieva il ricorso presentato, ritenendo fondate le richieste avanzate dallo stesso.
Nello specifico, il ricorrente, intendeva opporsi alla decisione dell’amministrazione penitenziaria che aveva improvvisamente rigettato le istanze da lui presentate, tramite il modello 393 (le c.d. domandine), finalizzate ad ottenere l’autorizzazione dalla stessa a ricevere e a cedere, generi alimentari dai\ ai suoi compagni di socialità; il diniego avveniva sulla base delle informazioni contenute nelle relazioni sanitarie acquisite, trattandosi, infatti, di soggetto affetto da celiachia.
A richiesta di chiarimenti sollecitati dal Magistrato di Sorveglianza, il Dap rispondeva che, il detenuto, essendo celiaco e dovendo quindi rispettare un preciso programma alimentare, non poteva scambiare cibi a suo piacimento, ma soltanto previo nulla osta del sanitario.
Il Magistrato di Sorveglianza ritenendo fondate le richieste avanzate dal ricorrente , nell’ordinanza oggetto di successiva impugnazione da parte del DAP, disponeva che gli fosse consentito lo scambio di generi alimentari senza glutine o di cibi cotti in pentolame utilizzato per alimenti senza glutine, a condizione che la richiesta che veniva presentata all’amministrazione (cioè la domanda che comunque deve essere rivolta alla direzione del carcere prima di procedere allo scambio) contenesse una specifica indicazione dell’idoneità dei cibi ; questa soluzione, secondo il magistrato, consentiva di contemperare le esigenze di entrambe le parti : l’esigenza dell’ amministrazione penitenziaria di “conoscere gli alimenti oggetto di scambio ( e quindi da quale detenuto i cibi sono stati ceduti), le modalità di preparazione dei cibi cotti ( specificando che per la cottura è stato utilizzato pentolame che non ha avuto contaminazione con il glutine) a salvaguardia della salute del detenuto” e il diritto del detenuto allo scambio “riconosciuto come diritto a fruire di momenti di socialità e come tale rientrante tra quelli previsti dall’art. 1 OP”.
Alla luce di tale decisione il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria presentava reclamo avverso l’ordinanza del Magistrato, basato su un “unico, articolato, motivo”, che di seguito si riporta.
Alla luce delle primarie esigenze di prevenzione e sicurezza, che dovrebbero ispirare la disciplina del regime penitenziario speciale, non sarebbe una scelta ragionevole rimettere alle parti dello scambio la responsabilità in merito alla genuinità e alla idoneità dei cibi da scambiare rispetto alla patologia della celiachia di cui è affetto il detenuto.
Secondo il Dap, in particolare, “la decisione del Magistrato di sorveglianza si fonderebbe sulla presunzione che i detenuti abbiano conoscenze specifiche in merito alla composizione degli alimenti che intendono scambiare e che vi sia certezza in ordine all’utilizzo di pentolame apposito. Rimettere al detenuto l’attestazione del rispetto di questi accorgimenti sarebbe troppo rischioso, in quanto le circostanze dichiarate non potrebbero mai essere verificate con certezza”, “i ristretti non celiaci, peraltro, utilizzerebbero lo stesso pentolame di cui si servono per cuocere i propri cibi, del quale al più, potrebbero prevedere un lavaggio accurato, ma mai potrebbe assicurarsi la totale assenza di contaminazione dal glutine, come invece è stato prescritto dal medico per il F.”
Quindi, la soluzione palesata dal Magistrato di Sorveglianza nella propria ordinanza, non sarebbe idonea a soddisfare le cautele indicate e richieste dal personale sanitario al fine di tutelare la salute del detenuto.
Nell’ordinamento penitenziario, soprattutto in presenza di detenuti con diagnosi di malattie quali la celiachia (ma anche altre patologie, quali il diabete) all’amministrazione penitenziaria devono essere riconosciuti poteri di intervento finalizzati a tutelare la salute del ristretto, specialmente poteri di intervento nel caso in cui il detenuto scelga di “non astenersi da comportamenti che potrebbero pregiudicare la sua salute, come è appunto la ricezione di prodotti alimentari sulla base delle mere rassicurazioni dei compagni di socialità e di non di una verifica scientifica”; questo, a differenza, di quanto accade all’esterno delle mura carcerarie, dove invece spetta ai singoli consociati, nella stessa condizione di salute considerata, la scelta di seguire o meno le indicazioni mediche, potendo essi decidere in assoluta libertà quale stile di vita adottare, se idoneo, o meno, al preservamento della propria salute.
Secondo il Dap “questo potere di intervento sussisterebbe alla luce dello specifico contesto in cui il controllo della salute deve essere effettuato: anche se l’interessato ritenesse tale bene della vita soccombente (…) l’amministrazione dovrebbe salvaguardarne l’incolumità fisica”; tale potere di intervento dovrebbe, inoltre, configurarsi non solo al fine di tutelare il bene della salute del ristretto, ma anche al fine di evitare che lo stesso decida volutamente di mettersi in pericolo , assumendo nello specifico un’alimentazione scorretta, al fine di ottenere, ad esempio, un trasferimento mediante ricovero, o comunque altra forma di beneficio personale.
A parere del reclamante, inoltre, non potrebbe ritenersi esistente (come invece affermato nell’ordinanza dal magistrato di sorveglianza nel passaggio sopra riportata) in capo al detenuto un vero e proprio diritto soggettivo allo scambio, nello specifico di generi alimentari e oggetti di modico valore, piuttosto saremmo in presenza di una “mera facoltà, il cui esercizio è stato ritenuto possibile dalla Corte Costituzionale nell’ambito di quei gesti ordinaria socialità che dovrebbero potersi riconoscere – nei limiti delle esigenze di ordine e sicurezza- anche ai ristretti in regime speciale”.
Alla luce di tali considerazioni, sostenute anche dal Procuratore Generale (che in sede di conclusioni ,aderendo alla tesi del reclamante, sottolineava come le prescrizioni imposte dal Magistrato di Sorveglianza non sarebbe in alcun modo sufficienti a tutelare la salute del ristretto, e come non potrebbe mai avvallarsi un manleva di responsabilità della P.A. sulla base delle semplici dichiarazioni del detenuto), con l’ordinanza in commento si dispone l’accoglimento del reclamo presentato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria avverso l’ordinanza del Magistrato di Sorveglianza di l’Aquila del marzo del 2021.
In seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 97 del 2020, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 41 bis co. 2 quater, lett. f) OP nella parte in cui prevedeva, per i detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione di cui al 41 bis, l’adozione di tutte le necessarie misure di sicurezza volte a garantire che si assicurata la assoluta impossibilità di scambiare oggetti tra detenuti (in quanto il divieto di scambiare oggetti, nella parte in cui si applica anche a detenuti inseriti nel medesimo gruppo di socialità, è ritenuto dalla Corte “disfunzionale e incongruo rispetto alla finalità tipica ed essenziale del provvedimento di sottoposizione del singolo detenuto al regime differenziato, consistente nell’impedire le sue comunicazioni con l’esterno”) anche ai detenuti sottoposti a tale regime speciale di detenzione deve essere riconosciuta la possibilità di scambiare oggetti con altri detenuti del medesimo gruppo di appartenenza, non potendo questa facoltà essergli preclusa in via generale e astratta.
La Corte, infatti, pur precisando che non esiste un vero e proprio diritto fondamentale del detenuto sottoposto a regime differenziato a scambiare oggetti, riconosce comunque che si tratta di “una di quelle facoltà dell’individuo, anche se posto in detenzione, che fanno parte di quei piccoli gesti di normalità quotidiana tanto più preziosi in quanto costituenti gli ultimi residui in cui può espandersi la libertà del detenuto stesso”.
Alla luce di tali premesse, quindi , la compressione della possibilità di scambiare oggetti con altri detenuti del medesimo gruppo, non potrà mai ammettersi in via generale e astratta, ma comunque potrà ammettersi in concreto, essendo giustifica nel caso in cui esista la necessità concreta di garantire la sicurezza dei cittadini e la “motivata esigenza di prevenire – come recita l’art 41 bis, co.2 quater, lett.a) O.P.- contatti con l’organizzazione criminale di appartenenza o di attuale riferimento, contrasti con elementi di organizzazioni criminali contrapposte, interazione con altri detenuti o internati appartenenti alla medesima organizzazione ovvero ad altra ad esse alleate.”
In riferimento al caso specifico, secondo il tribunale, sussistono “quelle esigenze di sicurezza che giustificano l’imposizione, da parte del carcere, di regole restrittive per l’esercizio del diritto allo scambio di generi alimentari. Queste regole potrebbero ritenersi, prima facie, non direttamente funzionali allo scopo di evitare che il detenuto abbia contatti con l’esterno, trattandosi di limitazioni attinenti alla preservazione delle sue condizioni di salute”; l’ intervento dell’amministrazione penitenziaria in tali ipotesi di scambio di prodotti potenzialmente lesivi della salute del detenuto, inoltre, non sarebbe solo necessaria al fine di garantire la tutela della salute dell’internato (di cui l’amm. Penitenziaria deve essere la prima garante), ma anche al fine di evitare, come già accaduto, che il detenuto possa porre in essere condotte finalizzate a cagionarsi volontariamente delle patologie, o ad aggravare quelle già esistenti, al fine, ad esempio, di uscire dall’istituto di pena.
La decisione del Magistrato di sorveglianza, di rimettere ai detenuti la responsabilità rispetto alla idoneità degli alimenti oggetto di scambio tramite autodichiarazione, non è ritenuta dal Collegio idonea ad assicurare le esigenze di salute del detenuto; la tutela della salute e dell’integrità fisica del detenuto assumono un’importanza primaria nella materia penitenziaria e il compito di tutelare e preservare tali valori spetta in primis all’Amministrazione stessa.
Pure in seguito al riordino della disciplina sulla medicina penitenziaria (che rinviene la sua fonte nell’articolo 5 L. n. 419 del 1998 e nel D.lgs. n. 230 del 1999) l’amministrazione penitenziaria conserva ancora “il ruolo di garante alla sicurezza all’interno delle strutture intramurarie”, da esercitare in collaborazione con gli organi delle Asl, proprio al fine di assicurare condizioni detentive rispettose della salute dei ristretti.
Il collegio chiarisce inoltre che, nel caso specifico, il medico aveva già svolto il proprio compito, avendo individuato la patologia di cui era affetto il detenuto, prescritto una cura, una profilassi terapeutica, nonché tutte le precauzioni necessarie al fine di tutelare la salute del soggetto in svariate note sanitarie, trasmesse alla Direzione del carcere, in cui fissava le regole per lo scambio di generi alimentari con i compagni di socialità; in esse il sanitario prescriveva, tra l’altro, il divieto per il detenuto affetto da celiachia di ricevere alimenti contenenti glutine sia dall’esterno, che dai compagni di socialità, e la necessità di effettuare la preparazione del cibo in pentolame ad uso esclusivo del soggetto celiaco, sottolineando come spettasse alla Direzione accertare tale circostanza e come, in generale, non potesse rimettersi al presidio sanitario la decisione in merito all’idoneità o meno del cibo di cui si richiedeva lo scambio.
“Senza considerare, poi, che il passaggio di cibi previo nulla osta del medico integrerebbe un procedimento oltremodo farraginoso e in contrasto con l’interesse dello stesso detenuto, che ha diritto di presentare le domande al modello 393 due volte al giorno”.
Quindi, secondo il Collegio, da una parte, non può, come invece aveva ritenuto il Magistrato di sorveglianza, rimettersi ai detenuti la responsabilità in ordine alla valutazione della idoneità dei cibi da scambiare non avendo essi le conoscenze specifiche riguardanti la composizione degli alimenti oggetto di scambio, dall’altra si chiarisce comunque che, “la concreta decisione sul singolo scambio non è, di per se, atto sanitario”; arginando quella impostazione propria dell’amministrazione penitenziaria, evidente nelle motivazioni espresse dalla Direzione della Casa Circondariale in calce alle diverse domande di scambio presentate dal detenuto e esposta anche al Magistrato di sorveglianza in sede del primo ricorso (dove il Dap aveva sostenuto a ragione del proprio diniego allo scambio richiesto del ricorrente il fatto che lo scambio non poteva avvenire liberamente ma soltanto previo nulla osta del sanitario), di rimettere al presidio medico la decisione, e quindi la responsabilità, sull’idoneità o meno del cibo di cui si richiede lo scambio.
Ruolo primario circa l’autorizzazione e l’idoneità allo scambio dei cibi è quindi rimesso all’Amministrazione penitenziaria, quale garante primario della salute e sicurezza all’interno delle strutture carcerarie.
Proprio al fine di garantire l’attuazione degli accorgimenti prescritti dal medico, il tribunale afferma che, “potranno essere oggetto di scambio soltanto i generi alimentati dei quali possa accertarsi la totale assenza di glutine o di contaminazione con il glutine e dunque soltanto i cibi confezionati i cui ingredienti siano espressamente menzionati sull’imballaggio. Dovranno escludersi, invece, i cibi cotti non confezionati e anche i cibi crudi “sfusi”, per ciò solo suscettibili di contaminazioni. Parimenti, non potrà essere autorizzato, per le ragioni anzidette, il passaggio di cibi acquistati ad personam per il F”.
Stabilendo in conclusione, in accoglimento del reclamo presentato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria avverso l’ordinanza del Magistrato di sorveglianza, che “l’ordinanza impugnata deve essere riformata nella parte in cui ha disposto che sia consentito al F. di scambiare generi alimentari con i compagni del proprio gruppo di socialità, rimettendo ai detenuti l’attestazione circa l’idoneità del genere alimentare scambiato rispetto alla patologia del F., e non soltanto i cibi (…) il cui imballaggio rechi precisa indicazione degli ingredienti, escluso il vitto speciali per i celiaci”.
Queste restrizioni non realizzerebbero una eccessiva compressione del diritto allo scambio del detenuto, in quanto lo stesso non è del tutto compromesso, né con riferimento ai generi alimentari (di cui sarà consentito l’esercizio, sia pure rispetto a categorie meno estese di prodotti), né con riferimento ad altri oggetti di modico valore che possono essere comunque ceduti.
a cura di Giulia Ricciardi
Qui di seguito l’ordinanza : ord. TDS L’Aquila 26.10.2021