Con la presente ordinanza la Sezione VII penale della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto avverso l’ordinanza del 3 Dicembre 2020, con la quale il Tribunale di sorveglianza di Roma aveva confermato il decreto emesso dal Ministro della Giustizia relativo alla proroga della misura di cui all’art. 41-bis Ord. Pen. nei confronti del ricorrente.
Preliminarmente, la Suprema Corte ha precisato come i provvedimenti che applicano un regime di detenzione differenziato possono essere prorogati nelle stesse forme per successivi periodi, ciascuno pari a due anni, quando “risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno”.
Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha ritenuto che il Tribunale di sorveglianza di Roma avesse proceduto correttamente alla verifica della permanenza dei collegamenti tra il ricorrente e la criminalità organizzata, valorizzando gli elementi sui quali il Tribunale ha fondato la valutazione della pericolosità del ricorrente stesso.
In particolare, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha evidenziato la correttezza del decreto ministeriale relativo alla proroga del regime di detenzione differenziato, alla luce: “del ruolo di vertice rivestito dal (omissis) nel gruppo mafioso di appartenenza; dell’irrilevanza della circostanza che prevalentemente si occupasse della gestione finanziaria dei crimini; dell’inidoneità del percorso di studi universitari compiuti dal detenuto a recidere il vincolo associativo; della circostanza – che la Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo ha valutato come priva di qualsiasi effettività la dichiarazione di dissociazione resa dal (omissis) il 6 maggio 2010; del fatto che lo stesso è indicato, nelle note degli inquirenti, come attualmente inserito nel clan di appartenenza; dell’attuale operatività di quest’ultimo; dell’assenza di elementi sintomatici dell’acquisizione di valori di legalità da parte del ricorrente”.
Pertanto, ritenendo del tutto irrilevante la circostanza per cui, già dal 2010, il ricorrente aveva espressamente dichiarato la propria dissociazione dal gruppo mafioso di appartenenza, la Corte di Cassazione ha considerato la motivazione addotta dal Tribunale di sorveglianza di Roma, circa gli elementi ritenuti idonei a dimostrare il pericolo di collegamenti con la criminalità organizzata, conforme ai principi di legge “nonché in conformità a logica argomentativa coerente e lineare”, dichiarando così il ricorso inammissibile.
Qui il testo della sentenza.
testo ordinanza Cassazione 41bis
A cura di Silvia Lorenzelli