Ancora in punto di diritto alla sessualità delle persone detenute. La pronuncia della Corte Edu alimenta il dibattito sul fronte interno

C. eur. dir. uomo, Sez. I, sent. 1° luglio 2021, Lesław Wójcik c. Polonia

In data 1° luglio 2021, la Prima Sezione della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, nel caso Lesław Wójcik c. Polonia, si è pronunciata in merito alla portata del diritto all’affettività, nella sua particolare declinazione del diritto alla sessualità, delle persone detenute.
La pronuncia in commento – pur interessando la Polonia – pone l’attenzione su un tema estremamente attuale e complesso del diritto penitenziario e rispetto al quale, ad oggi, il legislatore nazionale si è dimostrato inerte o quantomeno incapace di fornire un’adeguata regolamentazione. È la delicata questione dei colloqui «intimi» in carcere o «camere dell’amore» ossia della possibilità di mantenere all’interno delle strutture penitenziarie una relazione sentimentale che «non sia amputata della propria dimensione sessuale» (Così a. pugiotto, DELLA CASTRAZIONE DI UN DIRITTO. La proibizione della sessualità in carcere come problema di legalità costituzionale, in Giurisprudenza penale, Fascicolo 2019, 2-bis «Affettività e carcere un binomio (im)possibile?», p. 15).

La pronuncia della Corte Edu prende le mosse dal ricorso presentato dal Sig. Lesław Wójcik.
Il ricorrente, polacco, lamentava la lesione del diritto a ricevere visite coniugali private in carcere. In particolare, adduceva, che le restrizioni ingiustificate e sproporzionate al suo diritto a ricevere visite «intime» della moglie violassero l’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) nella parte in cui riconosce e tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare.
Più nel dettaglio, il ricorrente, recluso per un lasso di tempo significativo in ragione di un numero considerevole di condanne, sin dall’inizio della sua detenzione avanzava – e vedeva accolte – numerose richieste di visita da parte della moglie, del figlio e di altri componenti familiari (genitori e sorella).
Il detenuto presentava, altresì, richieste di visite coniugali private (in polacco «widzenie małżeńskie») altrimenti note come «visite intime» da svolgersi in una stanza privata in assenza di controllo visivo e auditivo del personale di custodia.
In un secondo momento, a fronte di numerosi procedimenti disciplinari avviati nei confronti del detenuto stesso e giustificati delle reiterate violazioni delle regole di buona condotta, vedeva rigettarsi le successive richieste di incontri con i componenti della famiglia, inclusi i permessi di visita coniugale.
Il detenuto ricorreva così alla Corte di Strasburgo, lamentando la violazione del suo rispetto alla privatezza della vita familiare, specie quella matrimoniale.
Nelle numerose richieste di visita avanzate e rigettate, il ricorrente affermava, anzitutto, che il contatto intimo con la moglie fosse necessario per mantenere saldi i legami matrimoniali. In secondo luogo, rendeva noto il desiderio della coppia di concepire e dare alla luce un altro figlio. Infine, riferendosi allo stadio avanzato della sua risocializzazione (sottolineava, tra l’altro, la buona condotta nonché lo svolgimento di attività lavorativa all’interno dell’istituto carcerario), sosteneva di meritare un «premio».
La Corte Edu, con la pronuncia in commento, ha però rigettato il ricorso negando la violazione dell’art. 8 CEDU.
La Corte, ricostruita la propria giurisprudenza in punto di risocializzazione e recupero dei condannati, ricorda che il diritto alla visita riconosciuto dall’ordinamento penitenziario polacco rappresenta non un diritto, bensì un beneficio subordinato alla buona condotta del detenuto.
Nel caso di specie, non può ravvisarsi nei rifiuti dell’Autorità nazionale un comportamento arbitrario o manifestatamente irragionevole. I provvedimenti di rigetto del giudice di sorveglianza polacco sono stati motivati esclusivamente alla luce della cattiva condotta del detenuto, e affinché questi intraprendesse un percorso di riabilitazione serio e continuativo.
In ultimo, concludono i giudici di Strasburgo, non è mai venuta meno la possibilità per il ricorrente di colloqui visivi controllati, scambio di corrispondenza e contatti telefonici.

Come si è già avuto modo di chiarire in apertura, la decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo alimenta un dibattito su un tema che nel panorama interno è estremamente attuale e che è al centro del disegno di legge del Senato n. 1876, rubricato «Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di tutela delle relazioni affettive intime delle persone detenute», nato per iniziativa del Consiglio Regionale Toscana, e che per l’appunto è rappresentato dalla possibilità di mantenere all’interno degli istituti penitenziari una relazione amorosa che non sia privata della dimensione sessuale.

L’inerzia del legislatore italiano è ancora più grave e vistosa volgendo l’attenzione al contesto internazionale. Ben 31 Stati dei 47 componenti del Consiglio d’Europa autorizzano, sia pure con diverse modalità, visite «intime» dei detenuti. Tra gli altri, Russia, Francia, Svizzera, Finlandia, Norvegia ed Austria. Ancora in Germania e Svezia ove le strutture penitenziarie sono dotate di mini-appartamenti all’interno dei quali il detenuto è autorizzato a trascorrere alcuni giorni con la propria famiglia. Altrettanto accade in Spagna (in Catalogna dal 1991). In Olanda le visite avvengono in locali appositi o anche in cella.
In Finlandia e Norvegia esiste un sistema di congedi coniugali. In Croazia e Albania, invece, gli istituti di pena concedono incontri non controllati della durata di quattro ore.

In Canada le visite fino a 72 ore avvengono dal 1980 in apposite roulotte esterne al carcere.
Visite «intime» sono ammesse anche in India, Israele e Messico.
In Italia le «stanze dell’affettività»
 esistono, al contrario, solamente in via sperimentale nella Casa di Reclusione di Milano Opera. Manca dunque un fondamento e riconoscimento normativo.
Così, ad oggi, il sistema utilizzato per mantenere relazioni, anche intime, con il proprio
partner è quello dei permessi premio. È noto, però, che tale beneficio non è esteso a tutti i detenuti, ma solo ai condannati che hanno tenuto regolare condotta e non risultano socialmente pericolosi.
Si fa dunque impellente la necessità di un chiaro e deciso intervento legislativo in materia che sia capace, anche sotto questo aspetto, di dare attuazione al dettato di cui all’art. 1 della legge 26 luglio 1975, n. 354 sull’ordinamento penitenziario il quale specifica che
«Il trattamento penitenziario deve essere conforme a umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona».
Del resto, «Lo statuto costituzionale dell’esecuzione penitenziaria, ben espresso dalle norme di cui agli artt. 2, 3, 25, 27 co. 3 Cost., impone che al centro del rapporto detenuto-Stato si collochi l’individuo» (Così v. manca, Perché occuparsi della questione “affettività” in carcere?, in Giurisprudenza penale, Fascicolo 2019, 2-bis “Affettività e carcere un binomio (im)possibile?, p. 7).

Al riguardo si è pronunciata anche la Corte costituzionale (Corte cost., 19 dicembre 2012, n. 301 in www.cortecostituzionale.it.) la quale, pur dichiarando inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dal magistrato di sorveglianza fiorentino relativa all’art. 18 co. 2 della legge sull’ordinamento penitenziario per ragioni meramente di procedurali e di rito, ha in quella sede invitato il legislatore a volgere lo sguardo al tema del riconoscimento normativo del diritto all’affettività e alla sessualità delle persone detenute. Ciò anche tenendo conto del panorama internazionale.
Alla luce del dettato costituzionale la possibilità per la persona detenuta di mantenere relazioni affettive, comprese quelle a carattere sessuale, assurge a vera e propria posizione soggettiva costituzionalmente riconosciuta che, pur sottoposta ai limiti inerenti alla restrizione della libertà personale, non è affatto annullata da tale condizione (
Corte cost., 11 febbraio 1999, n. 26 in www.giurcost.org.).
Invero il tentativo di dare riconoscimento normativo al tema del diritto all’affettività e della sessualità inframuraria è stato oggetto di numerosi disegni di legge elaborati da Camera e Senato senza però trovare esito positivo nel corso delle legislature passate.
Così l’ultimo disegno di legge in materia, il numero 1876 prima richiamato,
nasce dall’esigenza di dare uno sbocco normativo al dibattito politico e legislativo, da anni in corso, sul tema.

Deve precisarsi che, oltre ai numerosi disegni di legge presentati da Camera e Senato nel corso degli anni e alla proposta elaborata dalla Commissione ministeriale incaricata di elaborare il decreto legislativo delegato per la riforma dell’ordinamento penitenziario nel suo complesso, in attuazione della legge 23 giugno 2017, n. 103, ampia e profonda riflessione in materia è stata quella portata avanti dagli Stati generali dell’esecuzione penale. Il documento finale del Comitato indica, tra i «bisogni» della popolazione detenuta non adeguatamente riconosciuti, il tema delle relazioni affettive e in particolar modo della sessualità evidenziandone la difficoltà della loro emersione come diritti fondamentali.

Il rispetto della dignità della persona, infatti, non implica soltanto che le pene non possano consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, ma impone che l’esecuzione della sanzione sia concepita e realizzata in modo da garantire l’espressione della personalità dell’individuo e l’attivazione di un processo di risocializzazione. Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti potranno, dunque, essere imposti solo se risulteranno strettamente necessari alle esigenze di ordine e sicurezza correlate allo stato detentivo. In caso contrario acquisterebbero «unicamente un valore afflittivo supplementare rispetto alla privazione della libertà personale» (Corte cost., 7 giugno 2013, n. 135 in www.giurcost.org.), come tale incompatibile con la finalità rieducativa della pena sancita all’art. 27 comma 3 della Costituzione. La detenzione è un percorso riabilitativo e rieducativo, non già (esclusivamente) punitivo. Ciò che serve ai detenuti è mantenere costantemente un legame con quella società nella quale dovranno poi reinserirsi.

Alla luce delle osservazioni avanzate, l’articolo 1 del disegno di legge in esame si propone di aggiungere un nuovo comma all’articolo 28 della legge sull’ordinamento penitenziario dedicato ai rapporti del detenuto con la famiglia. «Particolare cura è altresì dedicata a coltivare i rapporti affettivi. A tale fine i detenuti e gli internati hanno diritto ad una visita al mese, della durata minima di sei ore e massima di ventiquattro ore, delle persone autorizzate ai colloqui. Le visite si svolgono in apposite unità abitative appositamente attrezzate all’interno degli istituti penitenziari senza controlli visivi e auditivi».
Il ricorso all’espressione «rapporti affettivi» vuole lasciare un ampio spazio alla definizione della natura di quelli che possono essere le relazioni meritevoli di tutela. Con un familiare, un convivente, o anche di amicizia.
Così ricostruito, allora, l’esercizio del diritto all’affettività e alla sessualità potrà essere esercitato da tutte le persone autorizzate ai colloqui senza distinzione alcuna.

Del resto, la Consulta, già nel 2012 con la sentenza n. 301 sopra richiamata, faceva notare che limitare la tutela ai rapporti affettivi familiari o coniugali confligge con larga parte dei parametri costituzionali.
Ma il disegno di legge in commento, come più volte chiarito, intende ampliare la portata del diritto all’affettività, delle persone detenute, anche oltre la sfera strettamente sessuale.

In tal senso deve leggersi l’articolo 2 che si propone di intervenire sull’articolo 30 della legge 354 che contempla i cosiddetti «permessi di necessità» e che ad oggi sono concessi esclusivamente in caso di morte o di malattie gravissime dei familiari. Ci si propone di sostituire il secondo comma «analoghi permessi possono essere concessi eccezionalmente per eventi familiari di particolare gravità» con «analoghi permessi possono essere concessi per eventi familiari di particolare rilevanza». L’intento dunque è quello di eliminare sia il presupposto della «eccezionalità» sia quello della «gravità», sempre inerenti ad eventi luttuosi o comunque concernenti lo stato di salute dei familiari del detenuto.
Con l’art. 3 si intende invece intervenire sulle modalità attuative del diritto alla corrispondenza telefonica, modificando la frequenza e la durata dei colloqui telefonici, che potranno essere svolti quotidianamente da tutti i detenuti e per una durata massima raddoppiata, non superiore ai venti minuti. Si intende, infine, superare le ingiustificate restrizioni, nel numero dei colloqui telefonici, riservate ai detenuti del circuito di alta sicurezza.
A fronte del grave ritardo italiano, da più parti si auspica che, nelle more dell’approvazione della legge, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria dia avvio a procedure di sperimentazione e di adeguamento delle strutture penitenziarie presenti sul territorio al fine di garantire, con l’entrata in vigore della presente legge, il diritto alla visita in almeno un istituto per regione, con l’obiettivo di rendere effettivo tale diritto in tutti gli istituti penitenziari entro un arco temporale il più breve possibile.

A cura di Giulia Vagli

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