La Prima Sezione della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, nel caso Lesław Wójcik c. Polonia, si è pronunciata in merito alla portata del diritto all’affettività, nella sua particolare declinazione del diritto alla sessualità, delle persone detenute.
La Corte EDU, ricostruita la propria giurisprudenza in materia di risocializzazione e recupero dei detenuti, ricorda che il diritto di visita riconosciuto dall’ordinamento penitenziario polacco rappresenta non un vero e proprio diritto, bensì un beneficio subordinato alla buona condotta del detenuto.
Pertanto, le restrizioni subite dal ricorrente al diritto a ricevere visite «intime» da parte della moglie non possono considerarsi espressione di un comportamento arbitrario o irragionevole dell’Autorità nazionale alla luce della condotta tenuta. Nel caso di specie, infatti, i provvedimenti di rigetto del giudice di sorveglianza polacco sono stati giustificati esclusivamente dalla cattiva condotta del detenuto.
In ultimo, concludono i giudici di Strasburgo, non è mai stata negata la possibilità per il ricorrente di colloqui visivi controllati, scambio di corrispondenza e contatti telefonici.
La Corte di Strasburgo pertanto rigetta il ricorso negando la violazione dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) nella parte in cui riconosce e tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare.
Di seguito il link della sentenza:
A cura di Giulia Vagli