“Contrasta con gli articoli 3 e 38 della Costituzione la revoca delle prestazioni assistenziali, fondate sullo stato di bisogno, ai condannati in via definitiva per reati di mafia o terrorismo, i quali stiano scontando la pena in modalità alternativa alla detenzione.”
Così si apre il comunicato stampa della Corte costituzionale, a seguito del deposito, il 2 luglio 2021, della sentenza n. 137. Con tale pronuncia, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 2, comma 61, e, in via consequenziale, del comma 58 della legge 28 giugno 2012 n. 92, nella parte in cui prevedono la revoca delle prestazioni, comunque denominate in base alla legislazione vigente, quali l’indennità di disoccupazione, l’assegno sociale, la pensione sociale e la pensione per gli invalidi civili, nei confronti dei condannati per tali gravi reati che scontino la pena in regime alternativo alla detenzione in carcere, pronunciata dallo stesso Ente erogatore. Difatti, la Corte sottolinea che “è pur vero che i condannati per i reati di cui all’art. 2 comma 58 della legge n. 92 del 2012 hanno gravemente violato il patto di solidarietà sociale che è alla base della convivenza civile. Tuttavia, attiene a questa stessa convivenza civile che ad essi siano comunque assicurati i mezzi necessari per vivere.”
Sulla scorta delle argomentazioni sviluppate, ad avviso della Corte, risulterebbe oltretutto violato il principio di ragionevolezza nella misura in cui lo Stato valuterebbe un soggetto meritevole di accedere a forme alternative di detenzione ma – di fatto – lo priverebbe dei mezzi per vivere quando, in virtù dello stato di bisogno, questi sarebbero ottenibili solo dalle prestazioni assistenziali. Pertanto, e lucidamente, l’illegittimità della revoca è resa urgente dal pregiudizio al diritto all’assistenza per chi necessiti dei mezzi per sopravvivere, che – si ricorda – deve essere comunque garantito a ciascun individuo, pur se colpevole di determinati reati.
Qui il testo della sentenza.
Angelica Abate